Una serra platonica: viaggio nella semisfera idroponica di Unife

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Un cubo e una semisfera, due solidi platonici figli della matematica greca, sono alla base della serra Armonia che a Ferrara sviluppa la ricerca accademica applicata a vari ambiti.

Non solo la scienza, ma anche la filosofia guida lo sviluppo del progetto del Cias – Centro ricerche inquinamento fisico chimico microbiologico ambienti alta sterilità dell’Università di Ferrara, che nel concepire questo laboratorio su colture idroponiche, difesa dalla contaminazione e sostenibilità, ha voluto realizzare l’ideale ellenico di bellezza, curando non solo la sostanza, ma anche la forma dell’impianto, che presenta una simmetria perfetta e una grande resistenza strutturale.

Foto di Giulia Nascimbeni

La struttura, che sarà eccezionalmente aperta al pubblico su appuntamento il 10 maggio in occasione del Festival Interno Verde, è stata costruita nel 2021 e si trova in via Saragat 13 a Ferrara, all’interno del Tecnopolo universitario. Si compone di una serra geodetica in cui si coltivano orticole, come insalata e fragole, ed erbe aromatiche, come basilico e prezzemolo, all’interno di tubi verticali, accanto ad un grande cubo di cinque metri di lato, ricoperto di pannelli solari e contenente tutti gli apparati per il funzionamento della serra.

Foto di Giulia Nascimbeni

L’estetica del complesso spicca in mezzo al verde di quella che era un’area di rifiuti industriali del passato saccarifero della città. Abbandonata l’economia basata sulla trasformazione delle barbabietole, si è trovata con diversi siti inquinati che, grazie all’Università, ora stanno conoscendo nuovi impieghi. Grazie alla coltivazione “sospesa” non c’è contatto con il terreno e le piante possono comunque attingere a tutte le sostanze nutritive, con risultati notevoli per produzione e gusto. In un’atmosfera che sembra uscita dalla metafisica del pittore De Chirico, che proprio di volumi e geometrie aveva fatto la sua cifra. Passando la sera lungo la circonvallazione che costeggia l’area, si può osservare il geode illuminato di rosa: sono le lampade a spettro combinato per la crescita vegetativa, che lo rendono ancora più spettacolare. Un altro effetto speciale di un luogo che lo è altrettanto.

A illustrarlo è il professor Sante Mazzacane assieme alla ricercatrice Antonella Volta.

«Il nostro laboratorio interdipartimentale è nato nel 1997 e dal 2005 ha preso il nome di Cias. Si è sempre occupato di problemi di contaminazione e soluzioni di igienizzazione con probiotici in edifici e luoghi pubblici, come gli ospedali, allevamenti animali e metropolitane. Dopo aver a lungo lavorato nel settore delle sanificazioni, mettendo a punto anche un protocollo che ad oggi è in uso da parte di Copma, una delle più importanti società di pulizie d’Italia, ci è arrivata una proposta che ci è subito parsa interessante. Uno spinoff dell’Università di Bologna ci ha proposto di realizzare delle colture a sviluppo verticale, per sperimentare una maggiore resa produttiva – che con questo metodo è almeno sei volte superiore a quella nel suolo – e un consumo idrico ridotto al minimo.
Abbiamo così pensato di coniugare il nostro know-how scientifico e tecnologico all’ambito della produzione vegetale e di utilizzare batteri invece di agrofarmaci contro i patogeni presenti comunemente nelle serre, funghi, virus e batteri. Si tratta infatti di ambienti molto contaminati: essendo chiusi, basta che entri un patogeno e quello si moltiplica. Ogni azione di contrasto con disinfettanti e agrofarmaci prima o poi fallisce. Come avviene con gli antibiotici, che vengono usati per combattere microorganismi nocivi per la salute, ma finiscono con il renderli più resistenti, lo stesso avviene con le sostanze chimiche impiegate in agricoltura. Invece il Cias sta sperimentando batteri probiotici per la decontaminazione delle superfici.
Ad oggi i probiotici testati nella serra si stanno dimostrando utili per ridurre dell’80% la presenza di microrganismi patogeni. Accanto a questo, la serra presenta altri aspetti innovativi che stiamo testando. Quello tecnologico, grazie al quale controlliamo tutto attraverso un software da remoto, regolando temperatura, umidità, anidride carbonica oltre alle caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua. Quello relativo alla produzione energetica che avviene unicamente attraverso il sole e quello dell’approvvigionamento idrico, che viene effettuato raccogliendo l’acqua piovana: in questo modo stiamo arrivando ad azzerare ogni tipo di consumo».

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Foto di Giulia Nascimbeni

Questo grazie a due ambienti che sono a basso impatto e lunga durata. Il cubo e la serra possono sopportare venti fino a 200 chilometri orari e terremoti di livello sette della Scala Mercalli. Entrambi poggiano a terra senza fondamenta e sono completamente riciclabili e riutilizzabili.

Il tutto è stato reso possibile grazie alla fiducia degli sponsor che hanno scelto di investire nel progetto: Tecnodome che ha fornito la serra, Sabiana che ha fornito alcuni componenti del sistema impiantistico, Aquaponic Design che ha curato la parte di idroponica.

Ma quante menti ci vogliono per realizzare tutto questo?

«Siamo circa quindici persone a collaborare al progetto – spiega Mazzacane – io sono ingegnere impiantista del Dipartimento di Architettura di Ferrara e lavoro in sinergia con Scienze dell’Ambiente, assieme a microbiologi, informatici, architetti e fisici. Per fare ricerca è necessario essere tanti e di discipline diverse. Da sempre lavoriamo con enti privati e pubblici, con un budget coperto da finanziamenti essenzialmente privati e poi rivendendo i nostri risultati per continuare ad investire nei progetti».

Anche se il professore ci tiene a specificare che la sua è una “ricerca di ventura”, con un alto tasso di fallimento, ma un potenziale straordinario, perché si avventura dove nessun altro vuole andare a rischiare tempo e denaro.

Infatti, c’è già l’idea di sviluppare il progetto con un biolago, una nuova costruzione a forma di piramide e una sperimentazione in scala ridotta su terra vulcanica proveniente dall’Etna, per simulare la coltivazione sulla Luna.

«I cambiamenti climatici decimeranno l’agricoltura, stiamo andando verso un futuro in cui alle attuali condizioni, non ci sarà più nulla da mangiare, è adesso che bisogna, attraverso l’ingegno e l’immaginazione, provare a costruire scenari alternativi che garantiscano all’uomo una possibilità di sopravvivenza».

Foto di Giulia Nascimbeni

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