Il Cortázar senza barriere – un teatro di quartiere che vuole essere per tutti

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Al Teatro Julio Cortázar di Pontelagoscuro sabato 24 maggio è in programma una giornata speciale, nell’ambito di TOTEM 2025 Stagione Diffusa di Teatro e Arti Performative. Si parte alle 17:30 con Che cavolo guardi?, laboratorio di sguardo a cura di Michele Pascarella, alle 19:00 Black Mountains, spettacolo teatrale della compagnia Teatro Ebasko e per chiudere Drink&Talk con la stessa compagnia in dialogo con Michele Pascarella.

Ce ne ha parlato nel dettaglio l’attrice Natasha Czertok, insieme al critico teatrale Michele Pascarella e al regista Simone Bevilacqua.

Il 24 maggio il Teatro ospiterà una giornata ricca di eventi. Com’è nata questa iniziativa?
TOTEM è finalmente una stagione, possiamo definirla un contenitore organizzativo che era nato come Festival estivo nel 2012 e durava 4-5 giorni, poi, dopo 10 anni, si è deciso di cambiare format. È emersa la necessità di cambiare, la scelta è legata al territorio in cui lavoriamo, che ha sicuramente bisogno di una continuità.

La stagione, rispetto al festival, ci permette di essere più presenti sul territorio; è diventata una stagione diffusa, la chiamiamo così, perché non si svolge solo al Teatro Cortázar, sede del Teatro Nucleo, ma anche in altri spazi come la Biblioteca Bassani, molto attiva e di riferimento. È senz’altro un baluardo culturale con cui è nata una collaborazione ricca e pratica. Loro creano anche delle bibliografie dedicate per ogni spettacolo ed espongono dei libri da consultare. Inoltre, usiamo il parco davanti al teatro, che è molto grande e bello, anche se di notte, purtroppo, si trasforma in un luogo di piccola criminalità e spaccio, essendo una zona periferica.

Quali sono gli obiettivi di questa giornata e quale tipo di pubblico sperate di accogliere?
Organizzare eventi in questo spazio significa portare più cultura, riqualificando questi spazi. Abbiamo fatto anche teatro nelle case, nell’argine del fiume… insomma vogliamo valorizzare questo territorio “ferito”, se così possiamo dire. Pontelagoscuro era un bel paesino, che è stato bombardato durante la Seconda Guerra Mondiale e ha cambiato il suo aspetto urbanistico. Quest’anno lo celebriamo con degli appuntamenti pensati per un pubblico che non deve essere composto unicamente da esperti, anzi… al tempo stesso deve essere un teatro che dia un segno di forte qualità artistica. Il teatro non per forza deve essere o colto o popolare e quindi di bassa qualità.

Il nostro pubblico è trasversale per età e anche per provenienza. In tanti vengono da Bologna e dal Veneto, ma molti sono i nostri vicini di casa. Ci piace immaginare un teatro de vecinos, riprendendo la nostra radice argentina, che sia vissuto quindi come luogo di incontro. Gli orari sono scelti per permettere alle persone di arrivare in tempo anche se non hanno la macchina. Anche la data, in questo fine settimana, non è casuale perché rientra nell’ambito della giornata della legalità. Ci sembrava importante. Il teatro ha questa funzione di mantenere viva la memoria, deve essere luogo di riflessione collettiva.

Parlando del laboratorio “Che cavolo guardi”, sulla percezione, sorge spontaneo chiedervi in che modo, arte, teatro e danza verranno utilizzati per esplorare i pregiudizi nella percezione.
Una parola guiderà questa esperienza: accorgersi. Un vasto terreno di complessità. Il senso è quello di non dare per scontato che la nostra percezione sia l’unica possibile… è ovvio, ma sperimentandolo si impara ad andare oltre. Vorremo parlare di qualcosa che troppo spesso si dà per scontato. Il laboratorio non ha lo scopo di mettere tutti d’accordo, ma unire punti di vista. Arte, teatro e danza serviranno da strumenti di laboratorio, da lenti di ingrandimento. Utilizzeremo qualche esempio delle arte visive contemporanee, quelle che le persone oggi guardano con sospetto e irritazione. La condivisione non vuole né convincere né insegnare. Schopenhauer diceva che tutti noi consideriamo i limiti della nostra visione come i limiti del mondo. Accorgiamoci che non è così.
Il laboratorio vuole andare oltre il concetto di bello o di brutto, provando a restituire all’esperienza estetica la sua origine di conoscenza, il tutto in maniera ludica e accogliente. Non vogliamo essere un cenacolo del sabato pomeriggio.

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Viviamo in un’epoca in cui l’immagine ha grande potere. Che tipo di responsabilità ha lo sguardo al giorno d’oggi?
Lo sguardo, così come il linguaggio, crea la realtà. La percezione non è mai neutra. Non vediamo semplicemente il mondo “così com’è”, ma lo costruiamo, lo interpretiamo. Lo sguardo non è solo vedere, ma è un atto di potere e posizionamento. Lo sguardo è una lama a doppio taglio: rivela l’oggetto, ma riflette anche il soggetto.

Lo spettacolo “Black Mountains” mescola mito e realtà. Come convivono questi piani narrativi sulla scena? E come mai avete scelto di raccontare proprio Crotone? Cos’ha di emblematico questo territorio?
Con Black Mountains bisogna partire da anni fa. A causa della pandemia abbiamo vissuto un blocco. La compagnia veniva da cinque anni di sperimentazione e le nostre produzioni si erano congelate, eravamo più concentrati sulla formazione. Questo spettacolo è un esperimento, un ritorno in sala… e stiamo ancora capendo le misure giuste.

Abbiamo recuperato la storia della provincia di Crotone, da quattro mila anni fa ad oggi. In 50 minuti abbiamo ovviamente preso gli elementi salienti, attraverso altrettante storie ma anche miti di questa città, che è stata un po’ dimenticata. Black mountains è il nome dell’inchiesta che ci fu in merito alla fabbrica che chiuse nel ‘99 , era uno dei siti più inquinanti e inquinati d’ Europa. Prende quindi il nome dalle montagne nere di rifiuti tossici che stavano davanti alla fabbrica.

In realtà abbiamo optato per questo nome anche perché, quando sorge il sole, Crotone si illumina, essendo a est, sullo Ionio. Quando invece il sole si oscura, si ha sullo sfondo la sagoma delle montagne buie. È molto suggestivo. Secondo la leggenda, Crotone prende il nome da Kroton, figlio di Eaco, ucciso per errore da Eracle durante il suo viaggio in Italia. Per onorare l’amico, Eracle lo seppellì presso il fiume Esaro e predisse la nascita di una città che avrebbe portato il suo nome. Un’altra versione mitologica narra che Eracle, dopo aver ucciso accidentalmente Kroton, apparve in sogno a un colono acheo, ordinandogli di fondare una città in quel luogo. Non vi è certezza però sulla questione mitologica, il materiale è andato perso.

Il secondo blocco dello spettacolo è invece sulla proprietà della terra, quando l’uomo ha iniziato a considerare ciò che aveva in suo possesso. Si passa quindi dal paesaggio naturale, al paesaggio cittadino e alla lotta per le terre. Sono emblematiche le rivolte per la coltivazione dei terreni nel Sud Italia.  Al di là dei contenuti, ciò che desideriamo, è che il tutto arrivi anche a chi non va a teatro. Uno spettacolo che sa arrivare a tutti è quello che parla una lingua semplice ma profonda, speriamo di esserlo.


Al link https://www.teatronucleo.org/totem-stagione-marzo-maggio-2025/ tutte le informazioni e le modalità di partecipazione agli eventi di sabato 24 maggio.

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