

Definire Francesco Spisani designer, probabilmente è riduttivo, anche se il vocabolario delle arti applicate non ci verrà molto in aiuto. La visione artistica di Francesco è un cocktail perfetto di estetica, tecnologia e ispirazione, che parte dall’eleganza più sussurrata, ma comunque di rottura, come quella del giovane Yves Saint Laurent, per arrivare alle atmosfere pop di Andy Warhol.
Appena si varca la soglia del suo show room a Stellata di Bondeno, non ci si può immaginare di venire proiettati, pochi minuti dopo, nel cuore di Villa Spisani-Pepoli, una dimora storica nella quale passarono personaggi del calibro di Carlo Goldoni. Un percorso dove lo sguardo si perde tra le bellezze antiche di metà del ‘500 in contrasto con le creazioni di Spisani, veri e propri gioielli di metacrilato che rifrangono i raggi del sole, provenienti dal maestoso giardino che avvolge la villa e che ospita frutteti e magnolie secolari.
È proprio Francesco Spisani che ci guida per stanze e corridoi: per ogni oggetto c’è una storia, un viaggio, un pezzo di vita.
Come nasce il marchio Spisani?
La storia è molto semplice. L’azienda nasce nel 1972, ma la mia passione per le arti applicate nasceva già mentre frequentavo il Liceo Ariosto e anche per tutta l’università. Ho sempre avuto l’ambizione di dare vita alle mie creazioni ma, ironia della sorte, non ho mai avuto una grande manualità, quindi ho sempre continuato a disegnare. Alla fine degli anni ’60, durante una vacanza studio a Londra, ho incontrato un mio caro amico che aveva aperto uno show room di arredamento e mi fece vedere i primi progetti artigianali in metacrilato, che però veniva usato per scopi industriali e per le insegne dei benzinai. Mi sono innamorato subito di questo materiale. Al ritorno da Londra ho incontrato a Roma una coppia, lei marchigiana e lui siciliano, due raffinatissimi ceramisti che furono poi i miei mentori. Loro mi hanno indicato un ricevimento all’ambasciata inglese che prevedeva anche l’esposizione di applicazioni per oggettistica, tra i quali comparivano alcune creazioni del mio amico londinese di adozione. Dopo questo segno del destino, ho deciso di dedicarmi allo studio del metacrilato.
Il primo a lavorarlo per design, in Italia?
Ho scoperto che a Roma un signore marchigiano aveva fondato la prima ditta che lavorava su brevetto inglese ed è stato il primo nel mondo a lavorare masselli molto grossi. Io però avevo bisogno di lastre più sottili, che venivano prodotte dalla Montedison nello stabilimento di Marghera. Il materiale che usiamo racchiude già un lato artigianale perché viene fatto per colata, che prevede un’azione manuale. In alternativa c’era anche un altro tipo di piastre che si potevano colorare, ma erano fatte per estrusione, tramite un macchinario e quindi un processo industriale.
Col tempo e la ricerca, ho scoperto che si potevano creare anche degli inglobati, come poi abbiamo fatto col tessuto o la paglia di Vienna. La cosa più bella di questo materiale è la termoformatura, non ci sono parti incollate, si usano speciali forme d’acciaio e lo stampaggio viene fatto manualmente. Il materiale si scalda, si inserisce nello stampo e si crea la forma finale. Noi ci siamo specializzati proprio in questa lavorazione. Allora era davvero difficile procedere con le incollature, bisognava usare il materiale liquido ed era un procedimento davvero molto complicato. Poi, nel 1972 insieme alle mie sorelle abbiamo deciso di aprire il nostro laboratorio e abbiamo dovuto imparare tutto. Sul mercato ci siamo lanciati piano, piano, sempre secondo le nostre forze e nel corso degli anni abbiamo avuto tante evoluzioni.
Quando sono arrivati i primi successi?
Verso il 1974, quando abbiamo comprato il forno per la termoformatura. Il primo guadagno è stata la fornitura di 500 bomboniere per un matrimonio di Padova, che ci ha permesso di acquistare il forno. Un altro momento importante è stato quando abbiamo lanciato il tartarugato. Ho preso ispirazione da un bottonificio di Piacenza che forniva le grandi case di moda. C’erano bottoni di ogni tipo compresi quelli in madreperla e le prime imitazioni della tartaruga, che venivano realizzate con resine. Io riuscii a farmi fare le lastre con fantasia in madreperla e tartaruga, fu uno dei primi grandi successi.
Un altro ricordo è legato sempre ai miei amici ceramisti romani. In quel periodo i vassoi erano di argento oppure alluminio per poter servire anche bevande calde come il caffè fatto con la moka. Mi venne l’idea di creare vassoi in metacrilato con una piastra d’acciaio al centro. Mi chiamò la mia amica di Roma, che nel frattempo aveva avviato un negozio dove distribuiva anche i nostri prodotti, per dirmi che Giulio Andreotti aveva ordinato 180 vassoi come regali natalizi!
La vostra produzione è diffusa ormai in tutto il mondo, perché scegliere di rimanere a Ferrara?
Il legame col territorio per me è sempre stato molto forte. Credo molto nel cosiddetto Made in Italy. Dopo il terremoto del 2012 abbiamo ricevuto un’offerta importante da parte del governo svizzero che, in cambio di un nuovo stabilimento e diverse agevolazioni fiscali, ci aveva proposto di spostare tutta la produzione nel loro paese, ma abbiamo deciso di rimanere. L’unico momento in cui ci siamo allontanati (se così si può dire) è stato nel 2015 dopo l’incendio della fabbrica che ha distrutto non solo la produzione, ma anche una parte di affetti personali e l’archivio di famiglia. Fortunatamente non abbiamo arrecato nessun danno ambientale. Per esigenze lavorative ci siamo trasferiti nella nostra proprietà di Recanati e abbiamo instaurato una partnership con un laboratorio del Veneto.
Il mio sogno è comunque sempre stato quello di ritornare a Ferrara. Ora ce l’abbiamo fatta anche grazie a uno stanziamento pubblico che ha permesso di ristrutturare la villa rimasta chiusa dal terremoto, anche se non con poche peripezie.
Attraverso le mie creazioni ho sempre reso omaggio a Ferrara, per esempio alcuni dei nostri fermalibri sono stati esposti a un’importante mostra milanese. Ritraevano due cani: il levriero italiano tenuto al guinzaglio da Borso d’Este negli affreschi di Schifanoia e il mastino che è nella camera degli sposi del Mantegna a Mantova. Per un’altra mostra a New York ho creato due grandi diamanti con le proporzioni, in scala, di quelli presenti sulla facciata di Palazzo dei Diamanti. Ferrara rimane comunque una grande fonte di ispirazione sia per l’architettura, che per i tessuti, o per la natura che la circonda.
Com’è Spisani oggi?
Purtroppo il nostro mercato di riferimento è molto cambiato, in particolare quello italiano che per noi è finito, come quasi tutti i paesi europei, a parte qualche cliente storico. Ora lavoriamo moltissimo con l’America e gli Emirati Arabi. L’evoluzione sociale attuale purtroppo ha mirato solamente a uno sviluppo economico, senza andare di pari passo con la cultura. Tra i prodotti che ora sono tornati in auge, ci sono quelli a tema paglia di Vienna, che è stato il nostro primo prodotto e quelli con la foglia d’oro e d’argento ci hanno permesso di avere un forte legame col mondo della moda.
Quali sono i pezzi di design preferiti di Francesco Spisani?
Io sono molto legato alla foglia d’oro e a quella d’argento, perché è una tecnica antica e applicarla sul metacrilato mi ha dato un forte appagamento a livello artistico. Un altro oggetto a cui sono molto legato sono i fermalibri, che ora compaiono anche nelle serie americane, oppure i “servi muti”.
Progetti in cantiere?
Ho un sogno nel cassetto: quello di unire il territorio ferrarese con quello marchigiano, ma non voglio svelare di più per adesso…
MORE INFO
Spisani Art, Via Antonio Gramsci, 225, Stellata (FE)
www.spisaniart.it
Ferrarese doc si laura in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Bologna per poi imbarcarsi per Milano dove consegue il MASP master in Management per lo spettacolo della SDA Bocconi attraverso il quale inizia a occuparsi di social e comunicazione con un tirocinio al Teatro alla Scala. La Madunina la terrà con se per ben otto anni, durante i quali matura la sua esperienza lavorativa in agenzie di comunicazione in ambito lifestyle, beauty e food, ma il richiamo metafisico della città estense è stato più forte e così riporta a casa la sua passione per la scrittura, per l’arte e per la musica.