Melania Petriello a Grisù 451 Summer Reading: ecco perché abbiamo bisogno della sua vocazione

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Melania Petriello è un incantesimo buono che si posa su chi la ascolta.

Giorni fa, sul bordo della sedia, una platea vibrante ha partecipato alla presentazione del suo libro, La strada di Casa – Figli in cerca delle origini, nel cortile interno del Consorzio Grisù. Attorno alla giornalista, un silenzio denso ha accolto ogni parola con cura, fino agli abbracci finali.

Mentre una porzione del nostro Bel Paese si interroga sulla necessità o meno di salvare le presentazioni di libri (e un’altra non viene nemmeno sfiorata dall’argomento per mancanza di interesse), un gruppo attento e resistente continua ad organizzare e promuovere la rassegna 451 Summer Reading di Festival Grisù. Per chiudere il mese di giugno, il regalo dell’organizzazione al suo fedele pubblico è stata la dolcezza, la serietà, la chiarezza e la professionalità appassionata della giornalista beneventana, attraverso una presentazione che è sembrata a tutte e tutti così necessaria.

Foto dalla pagina Facebook di Grisù 451 – Festival delle parole 

La strada di Casa – Figli in cerca delle origini è un reportage sincero e delicato, un album di famiglia descritto in modo eccelso, ma è anche una dichiarazione d’amore al giornalismo vero, quello che permette di entrare con grazia nella vita di alcune persone, per aiutarne altre a conoscere. Al centro dell’approfondimento della Petriello, le storie di figlie e figli di parti in anonimato, adottati da altre vite, in cerca delle loro origini, per tante valide ragioni, da quelle sentimentali, a quelle burocratiche o di salute. Tra loro e la verità si inserisce la ‘legge dei cento anni’ che, ancora oggi, limita l’accesso alle informazioni sulle origini biologiche per le persone nate dall’anonimato.

“Quando inizio una storia, non voglio sapere troppo: mi basta il minimo per chiamarti per nome. Il resto deve arrivare dal tuo racconto. Questo è il ruolo del giornalista filtro – le parole di Melania -. In questo libro ho detto ciò che andava detto, rispettando l’intimità delle persone. Scelgo storie centrate, persone risolte anche nel dolore. Ho ricevuto fiducia, ma anch’io l’ho data. A volte le persone vanno protette dal loro stesso racconto. Alcuni figli non erano pronti. E io ho avuto rispetto. Questo me l’ha insegnato la quotidianità con chi vive il lutto più impensabile: perdere un figlio. Non sono un consolatore, né un giudice, né un fratello. Sono la giornalista che fa domande, che scoperchia verità scomode. Tutti cerchiamo menzogne che confortano, ma io non posso farlo. Questo esercizio umano quotidiano mi insegna fin dove posso arrivare. Spero di aver trovato, in questo libro, l’equilibrio tra ciò che va detto per il bene pubblico e ciò che deve restare privato”.

La magia di Melania serve a conciliare un lavoro così delicato, pericoloso e fondamentale con il contesto in cui vive, fatto di una strana forma di libertà, di fake news, di sfiducia e diffidenza nei confronti del giornalismo. “Bisogna partire da un lavoro sulla propria professionalità – racconta la Petriello – . Mi dico sempre ‘Se non posso cambiare ciò che ho intorno, posso migliorare me’. Io, che ho cominciato dall’ultimo anello della catena, in una redazione di provincia, oggi ho ruoli di responsabilità: guido squadre di giornalisti, anche molto giovani. In quella particella microscopica di responsabilità, di trasmissione del mestiere, cerco di mettere fame, passione ed etica. Un’etica dura, incorruttibile. Non possiamo permetterci di essere toccati dalla corruttibilità. Certo, ci proviamo, poi restiamo umani: sbagliamo, ci innamoriamo, inciampiamo. Ma dobbiamo riconoscerlo.

“Ma c’è anche una questione legata alla responsabilità sociale. La verità è che noi dovremmo ribellarci quando le persone sputano sul mestiere dei giornalisti. Perché se la gente ha un punto di vista sul mondo, è perché qualcuno trasferisce notizie, informazioni. Se oggi il tassista fascista che mi ha portato a Termini ha la sua idea su Trump, è perché qualcuno come me si sbatte ogni giorno per raccontare fatti. Talmente libera, questa informazione, da permettere a chiunque di farsi un’opinione, anche estrema. Questo è il potere del nostro mestiere.

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Ti consento di essere chi vuoi, perché ti do gli strumenti necessari per scegliere. Lo stesso vale per gli insegnanti, spesso bersaglio solo perché non assecondano le ambizioni dei genitori sui figli. O per i medici del pronto soccorso, massacrati da turni impossibili, ma accusati di non essere perfetti. Abbiamo smesso di indignarci per lo svilimento di chi tiene in piedi questa democrazia. Servono spirito personale e un minimo di spirito civico”. 

Foto dalla pagina Facebook di Grisù 451 – Festival delle parole 

E come si combatte invece la disinformazione? “Con la conoscenza – risponde Melania -. Funzionava dai greci, funziona ancora. Paradossalmente, più si allargano le possibilità di conoscenza, più si riduce la profondità della comprensione. Siamo esposti a troppe notizie, stimolati in modo continuo. L’unica bussola è il discernimento, che si costruisce con la lettura, la cultura, la scelta di fonti autorevoli. È per questo che questo mestiere deve farlo chi rispetta il codice deontologico, chi ha coscienza di quello che racconta, chi ha i mezzi per farlo. Questo lavoro mi ha fatto sentire al centro del mondo; in una posizione di privilegio e responsabilità. Ognuno, nel suo piccolo, può fare la differenza. È così che si prova a scardinare un sistema sbagliato: non cedendo alla sua corruttibilità.

L’informazione è complessa. Ha bisogno di sguardi complessi. Cambia, perché cambiano le cose. Non è verità assoluta, ma fattuale. Credo nel senso del dovere dei singoli”.

Una vocazione, quella di Melania, che sembra aggiungere un livello di comprensione alla questione dell’identità, centrale nel reportage come oggetto di un’incessante ricerca, o fragile tesoro da proteggere. “Identità non è una parola neutra – continua Melania -, e per questo trovo profondamente sbagliato, quasi offensivo, il fatto che sia stata relegata a un uso ideologico. In realtà l’identità non deve fare paura: conoscere la propria, che è sempre frutto di una costruzione, di un equilibrio tra appartenenza e disobbedienza, ci permette di rispettare e amare quella degli altri. L’identità è una strada mai del tutto percorsa, da cui si può deragliare. È una strada viva, fatta anche di ombre, di pianure da cui si intravede un grande orizzonte. Come si cammini su questo terreno impervio non lo sappiamo. Grazie a Dio non esiste una ricetta: a volte ce la indica la filosofia, ci persuade la fede, ci cura la letteratura. L’importante è non sentirsi mai del tutto compiuti. In questo eterno movimento, si può trovare il proprio posto nel mondo”.

Tra le storie riportate con delicatezza, La strada di Casa – Figli in cerca delle origini contiene anche alcuni quadri della vita di Melania. Chi ha dovuto convivere con la consapevolezza di non poter risalire alle proprie origini biologiche sa bene quanto contino i legami che si rinnovano ogni giorno, per il puro e semplice piacere dell’’affinità; ma, a volte, anche chi una famiglia di sangue ce l’ha, e la conosce bene, ha la fortuna di poter scegliere  connessioni precise, vere, uniche. 

Foto dalla pagina Facebook di Grisù 451 – Festival delle parole 

Melania racconta una famiglia per scelta: “Il femminismo lo imparo ogni giorno dalle mie sorelle, e cos’è una famiglia lo imparo ogni giorno dalle persone che amo. Ho capito con l’esperienza che il sangue non basta, non solo in senso normativo. Bisogna tuffarsi nel vuoto della vita per capire che tipo di famiglia si vuole costruire. Molte cose ci accadono, non le scegliamo. Possiamo solo decidere come affrontarle. Arrivano grandi dolori e inaspettate felicità. Dobbiamo solo cercare di farci trovare pronti.

“C’è poi una parte della nostra vita che è scelta, consapevolezza, volontà, sacrificio. Ogni legame richiede impegno quotidiano, ma lo chiamo con un’unica parola: cura. Nel tempo ho trovato persone sulla mia strada: forse erano lì ad aspettarmi, forse aspettavano me. Con loro ho costruito un patto fatto di promesse reciproche di sostegno, di accudimento. Questa è la mia famiglia. Condividiamo spazi, lontananze, bisogni. È una casa dalle pareti mobili, che si allarga continuamente. Una tavola sempre apparecchiata. Una panchina mai vuota.

Grazie a loro, sono la persona che sono. E vedo sempre, accanto a me, quel posto occupato“.

Però, nonostante tutto – o probabilmente per merito di questa consapevolezza – Melania aggiunge, con un’emozione particolare nella voce: “Questo libro è dedicato alle madri che ho incontrato. Alle madri biologiche e non biologiche, a quelle che generano per scelta. Ed è dedicato a mia madre.
Le devo moltissimo. Sono la donna libera che sono grazie a lei. Se ho potuto sognare, viaggiare, realizzarmi, è perché conosco la mia storia di casa. Lei è quella storia. L’origine, la continuità. La fonte. Spero che questo libro, che parla del miracolo della vita, la contenga in modo importante”.

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