

Si dice spesso che conoscere la storia sia fondamentale per comprendere il presente: non sono mai stato particolarmente d’accordo con questo detto. Non tanto perché non sia vero, ma perché in fondo la storia umana non è fatta generalmente di movimenti in avanti rispetto al passato ma di cicli. Cicli che si ripetono, momenti vissuti in prima persona come epocali e che sono in realtà ripetizioni di schemi, come l’alternanza tra il giorno e la notte.
E se è vero che Ferrara è cambiata nei decenni e sta cercando di cambiare ancora la sua pelle è altrettanto impressionante leggere ad esempio il numero tre di Luci della città, rivista culturale ferrarese nata negli anni Ottanta, che è stata recentemente digitalizzata e messa a disposizione online dopo che lo stesso sito era stato perso per un attacco informatico negli anni scorsi.

Recita l’editoriale di apertura: “si dice che abbia vinto la stabilità (che in Italia significa disoccupazione, malgoverno, distruzione dell’ambiente, sperequazioni sociali) […]. Probabilmente l’incapacità della sinistra di proporre un’alternativa credibile e non pasticciona, ha influito su comportamenti viziati da una proverbiale paura dell’incertezza.”
Potrebbe essere stato scritto oggi. Così come il secondo articolo “Riaperto il Centro giovanile di via Ortigara” dal titolo “Basta che andiate a letto presto” fa immediatamente pensare alle recentissime notizie che sembrano portare alla sparizione del Circolo Arci Bolognesi, uno dei pochi baluardi della musica dal vivo rimasti in città e collegato direttamente alla fine dell’esperienza del Centro la Resistenza di cui avevamo parlato due anni fa.

Guardare al passato è più guardare a ricordi ed esperienze, insomma, rispetto alle lezioni da cui imparare: in questo senso Luci della Città è uno straordinario racconto di tanti anni di persone, associazioni e luoghi ormai in gran parte svaniti, una memoria storica da non perdere.
Questo archivio della città, di luoghi di concerti e di musica dal vivo, di discussioni cittadine e dibattiti legati a temi nazionale e internazionali è oggi di nuovo, straordinariamente, disponibile online, a questo indirizzo e abbiamo chiesto al mandante dell’operazione di digitalizzazione, Roberto Formignani, a capo di A.M.F. la Scuola di Musica Moderna di Ferrara, di raccontarci l’importanza di questa iniziativa.

“La cooperativa Charlie Chaplin da cui nasce il progetto, fondata e presieduta da Stefano Tassinari curava tre cose: la Scuola di Musica Moderna, una agenzia di grafica curata da Laura Magni e la rivista “Luci della città”. Dopo qualche tempo l’agenzia è stata chiusa, la scuola è stata affidata ad alcune persone che c’erano all’interno e che hanno costituito l’associazione attuale, mentre la rivista si è chiusa poco dopo l’inizio degli anni Novanta, pur mantenendo alcuni supplementi speciali dopo la chiusura. Di quella rivista esistevano poche copie dei numeri cartacei, custoditi in via del commercio 50, la vecchia sede della scuola e la cooperativa di allora, che abbiamo conservato dopo la chiusura. Io li ho rilegati, una copia di questo archivio l’ho donata a Stefano Tassinari, una copia l’ho tenuta personalmente e una copia è stata archiviata a scuola.”
Qualche anno fa quelle copie rimaste nella scuola sono state tutte scansionate e rese leggibili, fino a quando un hackeraggio del sito ha fatto perdere tutto il materiale.
Formignani non si è dato però per vinto: “Per fortuna, con l’associazione che gestisce la scuola di musica nel 2023 abbiamo vinto un bando sulla digitalizzazione, che ci ha consentito di rifare tutti i siti dei progetti che seguiamo e di investire per riportare in digitale tutti i numeri di Luci della città, grazie all’aiuto tecnico di Nicola Iannucci.”

Cosa era Luci della città? Scorrendo i numeri sembra davvero poter raccontare quella Ferrara, quegli eventi, quelle discussioni pubbliche dell’epoca.
“Possiamo dire che era un racconto della città: siamo a metà degli anni Ottanta, in una Ferrara immersa nella nebbia, con tanti nomi tra coloro che hanno collaborato a quella esperienza che sono poi diventati nomi importanti della cultura ferrarese, o assessori alla cultura. Quello che ricordo era una Ferrara piena di poesia. Una città immersa nella nebbia, con due o tre punti nevralgici di incontro, penso a villa Clasta, allora un circolo culturale, penso al Cucco, luoghi dove si aveva la possibilità di incontrare persone, dove si faceva arte, cultura, dove sapevi che avresti incontrato persone simili a te con cui creare qualcosa. Il Cucco era un locale con un pianoforte, giochi di società, potevi bere, fare una partita a carte: li nascevano delle idee, erano luoghi di aggregazione che oggi stanno scomparendo.”
“E Luci della città riusciva ad essere una esperienza di racconto di quel fermento, pur nascendo in condizioni molto complesse: era un progetto per avventurieri, si preparava tutto con le macchine da scrivere, non era come oggi dove basta mandare un articolo via mail.”

La vita quotidiana di quella esperienza viene raccontata bene da Laura Magni, nel suo discorso dedicato a Stefano Tassinari (mente e cuore del progetto, scomparso nel 2012):
Più che del progetto di Luci in sé, quindi, sarebbe bene chiedersi quale ne è stato l’insegnamento, attraverso il suo fondatore. […]
Il progetto nasce da un’intuizione di Stefano: unire un impegno politico, non schierato all’interno di partiti a un’idea di scrittura e di informazione che racchiudessero in sé presupposti di libertà per condurre un dialogo aperto e costruttivo, offrendo in tal modo un nuovo volto alla città e, nel contempo, un progetto per la cultura e per l’uomo.
Proprio per questo, infatti, il respiro della rivista non si è mai limitato a un orizzonte locale, seppure al suo interno comparissero anche argomenti tratti da spunti riguardanti la realtà ferrarese. Un segnale in questo senso viene dagli abbonati, il cui numero stabilizzatosi attorno ad un 60% delle copie stampate, ha visto crescere nel tempo la dimensione nazionale.
L’urgenza di mettersi in rete con il mondo, guardare oltre i propri confini, raccontare, portare a conoscenza -‐ unita a una sensibilità che ha permesso alle energie creative di esprimersi e crescere -‐, ha consentito alla rivista di raccogliere attorno alla redazione giornalisti, fotografi, grafici, artisti, letterati, musicisti e rappresentanti di aree di intervento per contribuire a tenere acceso e vivo il dibattito sulla città e sul suo futuro.
Quasi un’agenzia giornalistica (era un sogno comune), in sette anni di vita, 68 numeri e 30 inserti, dove attorno al giornale si sono radunati una decina di istituzioni, un centinaio di sponsor e oltre trecento collaboratori, alcuni dei quali hanno potuto sviluppare più compiutamente le proprie peculiarità formandosi attraverso questa scuola del “fare”. […]
Gli ostacoli continui avrebbero fatto cedere le migliori persone di buona volontà… Il giornale è nato, infatti, senza appoggi finanziari, editoriali, politici o promozionali: raccoglievamo noi stessi ogni mese i denari necessari alla stampa della rivista. La sede della “proprietà”, la Cooperativa culturale Charlie Chaplin, è arrivata un paio di anni dopo: i primi tempi ci incontravamo a casa dell’uno o dell’altro amico, le riunioni ufficiali si tenevano sulla moquette del salotto di Stefano e grazie a un editore che ci ospitava nelle ore in cui i suoi macchinari erano fermi, componevamo di sera fino a notte fonda un numero dopo l’altro e senza l’ausilio di strumenti di lavoro che paiono essenziali oggi, come computer, cellulari, tablet e rete internet. Ricordo inoltre che il giornale è stato sempre piegato rigorosamente a mano dall’intera redazione. […]
Il giornale si impegnava ad occuparsi di attualità sociale, delle mostre, degli spettacoli, delle rassegne cinematografiche e di letteratura, puntando ad essere non solo un contenitore aperto, ma a diventare in qualche misura propositivo. […]
Tutto questo ci sollecita a non lasciarci portare via la consapevolezza di determinare il nostro tempo e a comprendere che l’impegno personale sia una realtà possibile, un dovere etico il non lasciarci ripiegare sulle realtà che quotidianamente tentano di affossarci, darci la possibilità di vivere ancora oggi in pienezza.
Dall’intervento di Laura Magni
Per concludere: parlavamo all’inizio dell’articolo di cosa possano essere le lezioni del passato e dei cicli che la storia umana ci consegna.
Forse l’unico grande scarto di fronte a riflessioni che si ripetono sui grandi temi universali è che negli ultimi anni, come ci racconta anche Roberto Formignani, è molto più faticoso trovare nuove persone pronte a portare avanti esperienze come quelle della rivista (che oggi potrebbero essere un sito di informazione o una pagina social) con continuità, così come avere luoghi di ritrovo fisico in cui fare confluire energie e che possano poi diventare serbatoi di incontro.
Due mancanze che raccontano, assieme, di un’epoca più disunita e ripiegata su valore più personali che collettivi, dove si fatica a trovare quella forza nell’aria capace di far nascere una rivista cartacea che voleva solo sopravvivere e raccontare qualcosa dell’epoca in cui veniva scritta, piegata a mano e poi distribuita.
Ecco cosa ci può insegnare questa opera di digitalizzazione: che dobbiamo provare a non perdere quella forza di volontà collettiva.
INFO:
Il Sito di Luci della città, dove leggere tutti i numeri della rivista
Classe 85, vive a Ferrara da vent’anni. Secondo il profilo ufficiale è Infermiere, nel contempo si occupa da anni di giornalismo con l’idea di cercare di raccontare il mondo da una angolazione sempre nuova, con spirito critico ma rivolto al meglio, al domani e al possibile. Ha scritto un romanzo, si chiama “Sfumature” e si occupa di musica con una newsletter settimanale, live report e altro.Qui su Filo, articolo dopo articolo tenta di costruire un mondo più informato, consapevole ed ottimista o, almeno, aderente alla realtà.