Ci vediamo dall’ortolano? Rinasce la casa dei polli di Romano Dallan

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La chiamavano Casa dei Polli, e si dice ci vivesse un signore molto anziano, un agricoltore di 90 anni. In queste storie di città ricorre la presenza di un signore molto anziano che sembra non essere mai stato giovane. 90 anni da sempre per giustificare una vita anacronistica ai bordi del centro.

C’era davvero quel signore, e in quella casa ci ha passato 70 anni. Vendeva le uova, e si chiamava Romano.

Dopo aver acquistato la storica ex casa colonica, negli anni della pandemia, il Comune ha recuperato alcune foto di famiglia di Romano Dallan, tra quei muri pericolanti, e gliele ha portate nell’alloggio che gli aveva procurato per fargli vivere in condizioni migliori i suoi veri 90 anni.

Sono giorni che si parla della riapertura di quella che oggi si chiama – in modo più elegante – Casa dell’Ortolano di via Bologna, appena dentro al Sottomura; in quella magnifica posizione privilegiata che la fa percepire come se fosse una casa in campagna. Sotto alle notizie ripostate sui social, ho letto decine di commenti che ripetono la stessa cosa ‘Da piccolo – o da piccola – mio nonno (o papà, o mamma, o nonna) mi portava lì a vedere i polli’. Tra tutti i ricordi relativi a quel posto, ho pensato al mio, decisamente singolare, di quando mi sono impigliata con i capelli nella rete del pollaio mentre cercavo di convincere il mio cane a tornare a casa. Quel luogo, in una maniera o l’altra, è nella mente di generazioni di ferraresi, così inaccessibile e plateale allo stesso tempo; nascosto solo da una rete non troppo alta, e raccontato dai rumori del pollame.

Oggi quella rete non c’è più, e i miei capelli sono salvi.

Ma la ‘casa dei polli’, in realtà, ha molti più anni del signor Romano, e chissà quali altri ricordi ha lasciato nel tempo. Il capitolo di Dallan e le sue uova è il penultimo di una storia che inizia alla fine dell’Ottocento. È stata definita ‘un’anomalia all’interno del vallo delle Mura storiche’: nella carta topografica di Ferrara del 1850, poco distante da una manciata di case che abbozzava l’odierna via Bologna, si vede già chiaramente il primo immobile, probabilmente la casa di un ortolano. Nel 1902 gli edifici sono due, ancora più evidenti sulla mappa catastale di San Luca, con una Ferrara Sud già più che delineata. Casa e stalla sono rimaste lì da allora, e quel complesso ha tanto da dire sulla storia della nostra città.

All’acquisto da parte del Comune, la stalla era stata ormai inghiottita dalla natura che, si sa, tende a riprendersi i suoi spazi quando la si lascia fare, mentre della casa ne restavano tre quarti. Nemmeno il progetto di riqualificazione delle Mura degli anni ’80 aveva dato valore a quegli edifici, che sono rimasti sempre proprietà privata prima, fino al 2019.

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Finalmente, la mattina dell’8 marzo, la città entra per la prima volta in quello spazio inedito.

L’aia è gremita già 11 di un sabato mattina: questo è il grado di curiosità. Un bel via vai di visi sorridenti si intrufola tra le stanze della casa, che oggi è diventata un’accogliente foresteria. La topografia è rimasta la stessa, ci racconta l’architetto Raffaella Vitale, per non perdere nemmeno un frammento di storia. Era così la casa dell’ortolano: aveva la cucina al piano terra, in una stanza tanto piccola da riscaldarsi facilmente, e sopra la camera da letto. Gli appartamenti completi sono due in questa riqualificazione gentile, e due anche le stanze singole con i loro servizi. La punta nord della casa – quel quarto distrutto dal tempo – è stata ricostruito in legno bruciato per non creare un inutile falso storico con un restauro fittizio. Saremo voci fuori dal coro, ma sono sicura di non essere la sola a preferire un innesto contemporaneo ad una bugia architettonica che spesso dona quello strano effetto ‘Gardaland’ anche alle opere più delicate. La rinnovata audace ala ospita i bagni pubblici che oggi profumano di nuovo e illuminano gli occhi dei più assidui frequentatori del Sottomura Sud presenti.

In legno bruciato anche l’unica aggiunta necessaria al complesso, il deposito per le biciclette che ne permetterà anche il noleggio. Si, perché queste case hanno una nobile intenzione: fornire – in primis – un servizio più che adeguato a ciclisti e cicloamatori che giungono in città con l’obiettivo di fare del cosiddetto turismo slow. Si potrà frequentare questo luogo anche senza la bicicletta? Questo è certo, perché nella stalla è già predisposta una locanda, sopra di essa una sala polivalente per gli eventi, accanto allo stabile si fa notare un barbecue, e i tavoli per l’aia sono in arrivo. Sogno ad occhi aperti mentre noto i particolari: un pranzo al sole, una grigliata con gli amici, un aperitivo con un po’ di musica; e noto che mi sembrava così buio questo posto, coperto da tutta quella vegetazione, mentre oggi riflette chiaro sotto un sole troppo tiepido per la stagione in cui siamo.

Nei 3250 metri quadri recuperati ha trovato posto anche un orto embrionale che si pensa possa diventare utile anche per la didattica.

Dal cappotto interno, per rendere gli ambienti più sostenibili senza alterare il patrimonio storico, ai pavimenti fatti con le tavelle dell’ex chiesa di San Nicolò, casa e stalla sono state restaurate con un’attenzione lodevole sia alla massima conservazione del bene, che all’impatto ambientale. Mentre l’architetto Frasson termina il suo intervento di presentazione esortando i presenti a ritornare con il buio per godersi la bellissima illuminazione architetturale, mi rendo conto che ho invitato due amiche per l’aperitivo credendo che il bar fosse già operativo. Quando (ri)nascono queste cose in città viene sempre voglia di vederle vivere il prima possibile.

Ci perdiamo tutte e tre nella sala della ristorazione per apprezzare i dettagli e immaginarci sedute al tavolo, tra qualche mese, e poi riprendiamo il sentiero del Sottomura felici di essere state tra le prime comparse di questo nuovo capitolo.

La Casa dell’Ortolano troverà un diminutivo nello slang dei ferraresi, come fanno tutti quei posti che la città ama frequentare, da Piazza Rio al Montagnone. Forse si dirà ‘Ci vediamo alle 7 dall’Ortolano’, o forse resterà il pollaio, un bellissimo soprannome pieno di ricordi. L’importante è che non si perda l’appuntamento con questa bella novità, e che chiunque ne prenderà le redini non si offenda se Ferrara vorrà dargli un nome tutto suo. D’altra parte, siamo fatti così.

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