

Quali sono gli elementi interessanti di una storia? Negli ultimi anni c’è un filone narrativo che soprattutto online si è spesso rivelato di grande interesse: quello del mollo tutto e cambio vita: da sempre il sogno nascosto di chi è insoddisfatto, con quel retrogusto di “se solo potessi lo farei davvero anch’io”.
Storie che raccontano però di veri e propri salti nel vuoto, senza paracadute: eppure capita ogni tanto di atterrare senza farsi male, come nel caso di Michele Massellani, che un giorno dice addio al suo lavoro in banca per inseguire una strada di passione e imprenditoria artigianale, dando vita al proprio marchio di birra, la Lost Road.
“Dai lunghi giri in bicicletta sulle strade di campagna di Ferrara, spesso isolate e sperdute nella grande pianura del Po, nasce l’idea delle birre Lost Road: birre fresche, equilibrate e pericolosamente facili da bere ma ricche di carattere: gratificante ristoro e ricompensa di faticose pedalate” recita il testo sulla lattina stessa.

Ma questo è l’oggi, cinque anni dopo una partenza in una città deserta, a bordo di una bici, mentre l’Italia era bloccata dal lockdown. “Io sono partito a marzo 2020: avevo già prenotato tutto da tempo e formalmente dovevo solo avviare l’attività – ci racconta Michele. – Prima facevo tutt’altro: dopo la laurea in economia sono finito a lavorare in banca come da copione, dieci anni di ufficio interno, lavorando in gran parte alla consulenza normativa per aziende. Di quei dieci anni posso dire che le mie giornate iniziavano realmente alle 18 quando lasciavo l’ufficio: a quel punto iniziava la musica, iniziava lo sport e tutto il resto me lo facevo andare bene, in fondo avevo studiato per quello.”

Ad un certo punto scatta però qualcosa.
“Ho avuto la possibilità di uscire dalla banca e l’ho colta subito: mi sono detto che se non lo avessi fatto subito non ci sarebbe stata una seconda possibilità. E mi sono messo a fare quello che mi piaceva: sono sempre stato appassionato di birra, ho ripreso in mano alcune conoscenze di quando durante l’università avevo studiato come produrre una birra in casa e ho pensato di provare, di prendermi un pò di tempo. Mi sono iscritto ai corsi migliori che ci sono in Italia, come un lungo percorso a Padova, un tirocinio all’interno di un birrificio, sono stato a Perugia dove c’è un centro di ricerca legato all’università. In sostanza sono uscito dalla banca e ho mantenuto gli stessi orari di lavoro però studiando, comprando libri, abbonandomi a riviste americane per poter comprendere questo mondo. E ho messo in piedi un piccolo laboratorio domestico, con la casa piena di tubi e fermentatori e infine sviluppato le ricette della mia birra.”

Siamo nel 2018 e a Ferrara, nonostante alcune realtà già presenti in passato, ancora il percorso di consapevolezza intorno alle birre artigianali è basso, sia a livello di produzione che di consumatori.
“Due anni di preparazione in cui ho sviluppato le mie ricette. Ma visto il momento non sono partito con un birrificio fisico, ma solo con la mia bici, una cargobike. Da quel marzo 2020 eravamo arrivati a dicembre e io dovevo partire, non potevo aspettare ancora. Senza niente, avevo questa birra nuova da lanciare e come mezzi solo i social network e la cargo bike che è diventata uno dei miei pilastri, il mio distinguo rispetto agli altri. Avevo il delivery come unica possibilità: eravamo tutti chiusi in casa e solo dopo qualche mese ho finalmente potuto aprire il mio spazio in centro, anche perché avevo necessità di un luogo con una cella frigorifera.” racconta Michele.


Nasce quindi il birrificio Lost Road: due anni abbondanti di studio, lo scoppio di una pandemia e finalmente ecco un luogo libero, in Via del Mercato, davanti all’ex Mercato Coperto e vicinissimo al centro storico seppure un pò nascosto dal passaggio.
“Il sistema di produzione che utilizzo si chiama beer firm, – spiega Michele – ovvero il creare una ricetta con le proprie competenze ma senza avere un impianto proprio. Le mie birre sono prodotte poco fuori Milano, in un birrificio agricolo (Serra Storta) dopo una lunga ricerca e una conoscenza personale: volevo un certo livello di qualità e accorgimenti tecnici nell’impianti, come la possibilità di modificare l’acqua, che influenza molto il gusto, così come tutti gli altri ingredienti, di elevata qualità. Mentre per quanto riguarda il marchio: ho voluto inserire alcuni elementi della mia vita, le mie passioni. La musica e la bicicletta, le strade e lo sport. E sicuramente il mio legame con il nostro territorio non è tanto a livello di materie prime quanto con la bicicletta. Le grafiche delle birre sono legate a quello, a quell’estetica delle maglie del ciclismo degli anni Cinquanta, come quelle iconiche di Coppi e Bartali, rimaste leggendarie perché molto semplici, riconoscibili in mezzo al gruppo.”

“La semplicità è un tratto che volevo mantenere: posso dire che la birra è piaciuta da subito. Ho cercato di fare birre che non per forza debbano sorprendere: c’è stato un periodo in cui sembrava che produrre una birra artigianale volesse dire avere sapori forti, gusti creativi, mentre io volevo qualcosa che si potesse bere facilmente. È chiaro che una IPA non ha la stessa bevibilità di una tedesca classica, ma non volevo una esperienza che fosse respingente – spiega -. Volevo recuperare quella sensazione di benessere che ti dà lo sport, le endorfine, lo stare all’aria aperta, che quelle sensazioni venissero amplificate da una bevuta semplice, equilibrata ma anche appagante. Volevo essere riconosciuto per una birra che poco dopo essere stata aperta ti sorprendi perché è già finita”.
E in questi cinque anni di produzione della birra, la Lost Road ha proseguito quel percorso itinerante nato nei primi mesi obbligati di lockdown, con collaborazioni e presenze ad eventi sul territorio.
“Ho cercato di andare negli ambienti che mi erano più affini: dalla Bike Night ad altri eventi ciclistici della zona in cui sono entrato come fornitore di birra. Il negozio stesso è passato dall’idea di avere un magazzino con un piccolo spaccio, fino a diventare un punto di ritrovo di chi fa sport, con eventi come feste a tema, quando è possibile dj set e qualche concerto, non impostando tutto su un classico percorso di degustazione. È un luogo di aggregazione, con questo cartello che avvisa all’ingresso che non si vendono Ceres, Becks, Moretti: qualcuno ride, qualcuno sceglie di non entrare. Ma chi viene mi conosce, non si viene qui per caso, vista anche la posizione.”

L’ultima domanda per Michele è la più naturale: cinque anni, qual è il bilancio di questo salto nel vuoto e cosa c’è nel futuro? “Per fortuna i volumi di vendita sono sempre aumentati dal primo anno ad oggi: questo mi ha dato fiducia. Spesso penso, anche per quanto riguarda il nome della birra (strada perduta, ndr), che nella vita ho scelto una strada meno battuta, meno scontata. Eppure siamo qui. E un punto di arrivo, non sicuramente a breve o medio termine sarebbe quello di avere un luogo di produzione mio: radicato nella città, legato al territorio, un posto più grande di questo con l’impianto produttivo visibile ad un metro da te che la acquisti e la bevi.
È uno scenario economicamente molto difficile, ma la cosa che ho compreso è che non ho più un orizzonte di vita preciso come mi capitava nel mio lavoro di banca, quel conto alla rovescia verso la pensione. Quando ho fatto il mio cambio avevo quasi quarant’anni, oggi non mi formalizzo più nel dire che avrò un mio piccolo birrificio quando ne avrò 55 anni, non mi interessa, se le cose vanno bene non mi pongo più il limite dell’età in cui può accadere quella cosa o meno.”
MORE INFO:
Lost Road si trova in via del Mercato 6, Ferrara.
Sito ufficiale – Facebook – Instagram
Classe 85, vive a Ferrara da vent’anni. Secondo il profilo ufficiale è Infermiere, nel contempo si occupa da anni di giornalismo con l’idea di cercare di raccontare il mondo da una angolazione sempre nuova, con spirito critico ma rivolto al meglio, al domani e al possibile. Ha scritto un romanzo, si chiama “Sfumature” e si occupa di musica con una newsletter settimanale, live report e altro.Qui su Filo, articolo dopo articolo tenta di costruire un mondo più informato, consapevole ed ottimista o, almeno, aderente alla realtà.