Alcuni anni fa, nella galleria del Palazzo della Ragione, a pochi passi dal Mc Donald’s in piazza apparve una scritta (opera di Andrea Amaducci) che divenne in poco tempo virale fuori e dentro i social.
Lo stesso Mc Donald’s che anni prima aveva creato un pò di sgomento: l’invasione dell’America in un luogo storico, all’ombra della Cattedrale, in una piazza che iniziava a scoprire concetti come la globalizzazione, la modernità che si affianca alla tradizione, i veicoli che diventavano protagonisti e venivano, successivamente, esclusi dal centro.
La città cambiano, mutano, virano nei colori e sono creature complesse: piene di insidie come di opportunità sono delle comunità con propri registri e stili da osservare, tanto che spesso le andiamo a visitare, come e più dei luoghi naturali, in maniera implicita in cerca di forme nuove di umanità da osservare.
E del concetto di città del futuro si parlerà a Internazionale a Ferrara, ancora in streaming (sarà l’ultima volta?) in questo weekend, cercando di traslare alcuni concetti su quella che è la nostra città.
I CONCETTI GENERALI: LA CITTA’ CHE CAMBIA E LE DIREZIONI DA PRENDERE, CON GLI OSPITI DELL’INCONTRO
Poter intervistare due dei quattro protagonisti dell’incontro, Stefano Daelli e Caterina Sarfatti ci ha consentito di avere uno sguardo globale sul tema, prima di ragionare su che direzione debba prendere la nostra città nel suo prossimo futuro.
Verso il finire della nostra conversazione è proprio Daelli (autore del portale Città dal Futuro) a dirci uno dei concetti chiave: “Negli ultimi anni abbiamo guadagnato in consapevolezza ambientale ma non abbiamo ancora riattivato il muscolo dell’immaginazione sul futuro. Lo abbiamo immaginato come un solco già tracciato e verso cui bisognasse necessariamente andare, quando in realtà è come se fossimo in un delta e avessimo da tempo pensato che ci fosse solo una strada, quando dobbiamo invece guardare a tutti i possibili rivoli che ci possono portare a nuove forme di città. La forma della città del futuro sarà determinata dalla somma dei comportamenti che avremo, dalle scelte individuali che prendiamo come persone e non sarà determinata dall’alto ma da come decideremo di vivere, in risposta anche a questa situazione di pandemia.”
“Sarà determinata ad esempio dalle nuove geografie economiche, anche in termini di urbanistica stretta. Come e dove lavoreremo? Lavoreremo da remoto? Ci vedremo un’ora sola al giorno? O ci sarà invece un ritorno al lavoro tutti assieme in ufficio, perché questo anno ci ha fatto capire quanto è stimolante lavorare a stretto contatto? Oppure ancora, all’interno della stessa città si lavorerà in spazi ravvicinati di coworking, magari con innovativi concetti di nearworking e forme ibride?” si chiede quello che sarà oggi il moderatore dell’incontro.
A questo si aggiungono i limiti che abbiamo capito dover dare allo sviluppo tecnologico: l’espansione attuale tende a tralasciare gli impatti ambientali e sociali, in termini di diseguaglianze e conseguenze.
Dal punto di vista delle decisioni politiche invece quali vie si dovrebbero percorrere?
Il primo punto per ripensarle è il concetto di prossimità. Quanto le città sono prossime? Accessibili ai loro cittadini o alle persone che le utilizzano? L’altra dimensione da tenere a mente è quella di attivazione e riattivazione economico/culturale. Questa fase di pandemia ci ha mostrato quanto ci mancano le città per la loro funzione che hanno di generare idee, esperienze, momenti di intrattenimento, che contribuiscono all’arricchimento della nostra vita.
“L’altro elemento è quello della progettazione e della gestione degli spazi pubblici digitali: abbiamo capito quest’anno che gli spazi digitali che abbiamo non stati progettati per farci stare bene. Non potendo più scendere in piazza, non abbiamo un corrispettivo pubblico digitale che sia bello e accogliente come la piazza.
Averne di migliori ci permetterebbe anche di attrarre competenze, persone e idee anche da fuori. La città, anche piccola, amplia il proprio bacino di utenza: ma c’è bisogno di spazi digitali che lo rendano possibile.
L’altra area di sviluppo è quella di costruire alleanze pubblico/privato, con l’obiettivo della generazione di valore pubblico.
L’idea che la città sia vicina a te e che tutto sia a portata di mano è ovviamente appassionante. Il rischio è di creare l’opposto: queste comunità, anche caratterizzate da qualità della vita elevati non devono creare bolle di segregazione. Queste bolle, tramite le iniziative sociali e culturali devono scoppiare. La città deve spingere per fare coinvolgere, toccare, avvicinare le varie bolle culturali in modo da non creare chiusure e forzature. La prosperazione delle persone passa attraverso questo scambio.
Altrimenti si rischia di diventare San Francisco: centro dell’avanzamento tecnologico, ma inaccessibile ormai a chi non ha enormi patrimoni.
“Nel nostro percorso sul sito segnalidafuturo abbiamo visto 4 possibili scenari di città che si stagliano nel futuro:
- la città acropoli: multiculturale , superconnessa ma elitaria ed esclusiva. Eccellente nei servizi ma accessibile a pochi.
- la città contrada: la città si parcellizza in tantissime sottocittà, i quartieri diventano quasi nuclei indipendenti, ma con un conseguente settarismo, si viene a perdere lo scambio e quella dimensione di scambio tipico delle città medio-grandi.
- la città leggera: la città è qualcosa che si digitalizza, accessibile da ovunque. Il contro è che la socialità, lo scambio si perde del tutto.
- la città irregolare: dove le persone perdono completamente fiducia nella città, c’è una polverizzazione in tante piccole comunità autoregolate gestite dal basso, con potenziali creatività ma senza densità delle competenze e degli investimenti che implica un impoverimento sotto altri profili.
La città migliore nel futuro è quella che include qualcosa di tutti questi elementi, andando a ridurre gli elementi negativi.
Siamo nel mezzo di una transizione lunga ma urgente e di cui siamo già in ritardo: la città del futuro deve essere sostenibile dal punto di vista ambientale, non è una condizione sufficiente ma è una condizione necessaria. Dobbiamo iniziare ieri.
C’è una maggior consapevolezza, diffusa, che il tema della sostenibilità è centrale. Quello che ci manca è costruire una piccola comunità di apprendimento diffusa per allenare la capacità di immaginare futuri alternativi per decidere qual’è quello più desiderabile e quali percorsi fare per arrivarci. Manca la capacità di visualizzare futuri alternativi e progettare sul lungo periodo.
Abbiamo allora coinvolto Caterina Sarfatti, direttrice del programma Inclusive climate action dell’organizzazione internazionale C40 Cities e già alle relazioni internazionali durante il mandato Pisapia a Milano per capire cosa voglia dire inclusione e accessibilità quando si parla di città del futuro.
“Possiamo pensare all’inclusione in molti modi:
- dal punto di vista del processo, coinvolgendo con processi di ascolto. Bisogna fare uno step in più, raggiungere maggiormente le persone che sono coinvolte dai processi decisionali, ma che non hanno potere decisionale. E’ una sfida diversa. Specialmente nel campo ambientale. Al di là delle associazioni ambientali penso al terzo settore, alla società civile, ai giovani.
- lo sviluppo delle politiche locali: se si fa un programma di efficientamento energetico degli edifici ma il programma non è accessibile alle fasce più povere, non è inclusione. Ma se lo si struttura in modo che coinvolga le case popolari e le famiglie con più povertà energetica allora porta a risultati ben diversi.
- impattio sul lavoro: se il mio programma politico include lavori di edilizia e efficientamento, questo in termini di posti di lavoro probabilmente porterà ad una manodopera maschile in maggioranza, mentre si può intervenire in maniera che qualsiasi tipo di impatto sia accessibile ed equamente distribuito.
E dal punto di vista delle decisioni sui luoghi di socialità? Come questa pandemia ci costringe a ripensare queste aree?
“Ovviamente sono luoghi che hanno subito un forte impatto in questo anno di pandemia. Si sta affermando una tendenza a cui alcuni sindaci del mondo, anche italiani, si stanno avvicinando ed è la città dei 15 minuti. L’idea è di una città più policentrica dove i servizi sono accessibili in bicicletta o a piedi in 15 minuti. Questo senza perdere le peculiarietà delle grandi città del mondo ma solo rendendo accessibili i servizi essenziali, da quelli sanitari alle attività commerciali fino al verde pubblico.
Al di là degli investimenti, che servono, questo richiede un ripensamento della macchina comunale, dei servizi e del rapporto con i privati, vanno scardinate abitudini e tradizioni, un percorso complicato che questo richiede di uscire dai soliti binari.
Ritornare alle modalità precedenti non è il modo più giusto per uscire da questa crisi che ci ha mostrato tutti i limiti di modelli di sviluppo moderno con le conseguenze di crisi economiche, ambientali, sociali e ora sanitari di diseguaglianze.
Quanto risulta difficile comunicare questi percorsi a lungo raggio dal punto di vista politico?
I leader locali che riescono a coniugare una visione a lungo termine con proposte concrete riescono ad essere efficaci. Questo accresce la credibilità e il consenso, ovviamente se si ha una visione efficace e condivisa. Va coniugato in esperienze e proposte concrete: parlavamo prima dell’efficientamento energetico: se comunicato nella maniera migliore si capisce che concretamente parliamo di come riscaldiamo l’acqua, cuciniamo e paghiamo le bollette: soprattutto questo per le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese può avere un grosso impatto.
ARRIVIAMO AL LOCALE: CON ALESSANDRO BUCCI, QUALE FERRARA DEL FUTURO IMMAGINARE?
Con questi temi in testa, abbiamo contattato Alessandro Bucci docente di recupero edilizio e rigenerazione urbana presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Ferrara per capire come si possa applicare questo discorso della città del futuro alla nostra città.
“Quest’anno c’è stato un ribaltamento delle gerarchie territoriali, e la tradizionale forza delle grandi metropoli e città (strutture, trasporti, concentramenti, densità) in conseguenza della pandemia si è rivelata un elemento di rischio e vulnerabilità. Viceversa realtà più a misura d’uomo come le città-giardino hanno avuto maggiori risorse per difendersi. Ferrara in questo senso si inserisce in modelli che ora diventano virtuosi e che ne fanno un potenziale modello da inseguire.
Ferrara è potenzialmente più avanti di altre città in questo percorso. Si deve investire in una sorta di brand urbanistico, ambientale e sociale per spiegare che territori come il nostro hanno l’opportunità di ripartire dalla loro più modesta vulnerabilità, puntando alle sue caratteristiche ambientali, alla sicurezza del suo territorio, che deve passare per aspetti di sussidiarietà, di benessere collettivo, di salute: elementi alla base di una nuova attrattività.
Ferrara ha un punto debole negli aspetti demografici, avendo una forte presenza di persone anziane e ha bisogno di stimolare l’arrivo di nuove persone giovani, un percorso che è finalmente entrato nella discussione pubblica negli ultimi anni.
Dall’altra parte, se troppo spesso le città hanno vissuto percorsi di sviluppo standardizzato, è nella sua diversità e nelle sue peculiarietà che Ferrara può trovare grande forza: le persone non vengono in città per andare in un centro commerciale, ma per la visita di un centro racchiuso dalle mura e dal suo verde, cercando strade, piazze, luoghi con buon cibo raggiungibili a piedi o in bici: noi abbiamo già molto della famosa città con i 15 minuti (vedi il Metrominuto).
Tante città negli ultimi anni hanno fatto scelte diverse, andando a scegliere di suddividere aree puramente residenziali, altre commerciali, completamente in maniera contraria a questa idea ora emergente della città policentrica, su cui siamo già in una buona direzione.
Ferrara ha già una serie di altri centri, ha un potenziale che eredita dalla sua struttura fisica, morfologica e queste caratteristiche che una volta erano considerate un deficit ora sono punti di forza, per una città che potremmo definire sostenibile o, ancora meglio, desiderabile.
La nuova ecocittà giardino ha una struttura, una serie di centri, una rete di trasporto diffuso.
DUE ESEMPI PRATICI
Alessandro ci racconta una metafora usata frequentemente con gli studenti universitari, per fare capire il concetto alla base di una nuova visione di città del futuro.
“La città è una torta e ogni fetta è un quartiere. Quando io taglio la fetta, sento tutti gli ingredienti della torta, non solo alcuni. E’ diverso dal sentire solo lo zucchero, come andiamo a fare quando creiamo aree solo urbane o solo commerciali. Questa fetta di torta che contiene tutti gli ingredienti è la città sanamente concepita, il quartiere urbano della nuova città europea.
Pensando agli ultimi anni della nostra città, il recupero del Palaspecchi in una nuova area residenziale e il progetto Factory Grisù possono essere due esempi virtuosi?
Sono due esempi molto significativi: Factory Grisù è un classico esempio di recupero edilizio, di trasformazione; il recupero dell’ex Palaspecchi è invece un esempio perfetto di rigenerazione urbana, dove c’è ancora molto da fare, in questa ottica di nuovo policentrismo, ad esempio con il progetto di un centro polisportivo, che va nella giusta direzione.
— INFO —
La città del futuro – diretta su facebook.com/Internazionale – Sabato 17 aprile, ore 16
Policentrica, più abitabile, meno disuguale, più flessibile e sostenibile e più tecnologica. Così dovrebbe diventare la città dopo la pandemia.
Stefano Daelli È il cofondatore di From, partner strategico e creativo per la trasformazione urbana. È autore di cittàdalfuturo.com e curatore della newsletter collaborativa Segnali dal futuro. Lavora con aziende ed istituzioni che investono sul progresso delle città realizzando strategie, politiche e servizi che generano valore pubblico. Collabora con lo Ied come docente e consulente. È stato direttore creativo e della strategia di Futureberry e dell’osservatorio di trend Market Revolution.
Caterina Sarfatti è’ direttrice del programma Inclusive climate action dell’organizzazione internazionale C40 Cities climate leadership group che fornisce supporto alle città per pianificare e implementare interventi contro la crisi climatica. Ha lavorato per organizzazioni non governative italiane e francesi per la difesa dei diritti dei migranti e dei rifugiati. Esperta di sviluppo urbano, politiche ambientali locali, e politiche internazionali su migrazione e clima. Ha lavorato alle relazioni internazionali nel gabinetto del sindaco di Milano Giuliano Pisapia.
Alessandro Bucci è ingegnere, urbanista, dottore di ricerca in Architettura, docente di Recupero Edilizio e Rigenerazione Urbana presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Ferrara. Segretario dell’Associazione Internazionale A Vision of Europe, co-fondatore di Eco-Compact City Network, Consigliere e coordinatore di Commissione Urbanistica-Edilizia dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Ferrara.