Come per i festival musicali, quelli veri, quelli dove ci sono cinque, sei, sette palchi che suonano in contemporanea e dove ognuno si costruisce un proprio festival, un proprio suono, un pacchetto di eventi personale che diventa il proprio ricordo, anche il Festival di Internazionale a Ferrara non è uguale per tutti quelli che partecipano.
Il limitato calendario a cui ognuno può accedere, visti i numerosi eventi in contemporanea è un frammento: Italia, ambiente, i documentari di Mondovisioni, gli eventi più attuali o mille altri temi sono dei percorsi che scegliamo di intraprendere.
Ognuno è un frammento e l’insieme è il Festival, nelle sue anime, ritornate per le strade di Ferrara, minori per numeri (per necessità, non certo per domanda, visti i costanti sold out per ogni incontro.)
Noi abbiamo scelto un frammento preciso, per raccontare un piccolo spaccato di questa tre giorni e lo chiameremo il frammento delle voci. Perché sono tornate in presenza, hanno gridato forti urgenze del passato, del presente e del futuro e ci piaceva l’idea che fossero le voci e non magari i luoghi o i fatti, ad essere centro del nostro racconto.
Quel frammento volevamo: quello della voce che vuole farsi sentire.
Un frammento che parte da Aretha Franklin e finisce ai giovani comunicatori dei pocast e dei social media, nuovi voci (afro)italiane che si affacciano nei binari della comunicazione, passando per il racconto della crisi climatica: generazioni diverse, lo stesso mondo, linguaggi che cambiano ma sottotraccia una lunga linea di continuità, una corda sospesa che è il filo elettrico di un microfono attraverso cui le persone si esprimono.
Aretha Franklin e la cultura afroamericana, ad esempio, raccontata in Respect, con la voce di Daniele Cassandro all’interno dello splendido Palazzo Naselli Crispi con la storia della sua canzone, quella che dà il titolo all’incontro.
Una canzone che non è nemmeno sua, è di Otis Redding, pubblicata due anni prima e che racconta del rispetto dovuto dalla donna al suo uomo, nel pieno di una decennale tradizione blues, lui che porta a casa i soldi e che si aspetta la donna, pronta al suo ritorno, che gli renda omaggio. Ribaltata, con coraggio da Aretha, che cambia la prospettiva e racconta del rispetto richiesto invece dalla donna e inserisce il tema, tra le righe, della soddisfazione sessuale e anticipa l’introduzione della sessualità nella canzone americana, ben prima di quelle generazioni che hanno poi sdoganato i suoni dell’america nera, da Prince a Michael Jackson, una cultura spesso saccheggiata e derubata dall’America bianca, che per decenni ha usato e non riconosciuto una cultura, usandola solo per farne profitto.
Le voci, allora: quelle che cantavano e cantano, diventate ora mainstream e che hanno contribuito a dare dignità e che sembrano parlare al mondo di oggi (il rispetto per le donne cinquant’anni prima della nascita del #metoo).
Le voci: quelle di Greta Thumberg, degli attivisti e dei comunicatori che cercano strade per fare capire che il domani è oggi e che il cambiamento climatico non è futuro, è realtà. Siamo all’ex Teatro Verdi e Giancarlo Sturloni, responsabile comunicazione di Greenpeace ci invita a riflettere: cinque anni fa il problema era portare il tema ambientale nel dibattito, oggi non è più così, tutti parlano di ambiente, ma chi realmente ha più forza economica per indirizzare la discussione?
Qual è allora la voce giusta, se è Eni a mettere a bilancio più pagine e pubblicità sul cambiamento climatico di tutti in Italia, un partner che è fonte fondamentale di sopravvivenza per i grandi quotidiani e che nella pratica è però uno dei maggiori inquinatori italiani dell’ambiente?
Un tema in cui non c’è una bacchetta magica, non c’è un messaggio che va bene per tutti: è la prima volta che abbiamo davanti qualcosa che non vediamo, un pericolo non immediato ma dietro l’angolo. Come comunichiamo che non c’è un leone pronto a mangiarci o un fuoco a bruciarci, eppure se non cambiamo oggi, il futuro sarà difficile?
E come racconta Maria Teresa Salvati il messaggio che arriva a molti è che l’ambiente è qualcosa di troppo grande perché il singolo possa sentire di poter fare la differenza: quanti pensano che non ci sia connessione tra le nostre azioni, chi votiamo, cosa mangiamo e i riflessi che queste scelte hanno su altri popoli vicini e lontani? Allo stesso tempo manca una spiegazione chiara degli eventi in corso, ad esempio, quanti sanno davvero cosa è contenuto negli accordi di Parigi?
Come fare sentire la propria voce: Rossella Feronelli (consulente Urban Designer di Milano) racconta quanto sia complesso capire e spiegare il ruolo di una persona o anche solo di una città all’interno della crisi energetica, una città che tra l’altro normalmente in tre, cinque o dieci anni cambia molto poco, anche se le conseguenze delle non azioni di oggi influiranno per i prossimi settanta o ottanta.
E che parla di necessari cambi di mentalità: stiamo ancora urbanizzando città europee, facendo finta che non esista il tema della decrescita e della denatalità, senza ripensare il modello di città europea che pure, sotto diversi indicatori è uno degli agglomerati umani più sostenibili.
Infine, nel nostro frammento, voci che hanno (ancora) poco spazio.
Si chiama “Tik tok, fateci entrare” l’incontro che, nella cornice del Chiostro di San Paolo, parla del desiderio di fare sentire la propria voce, parla di questa strana definizione di afroitaliani che in fondo vuol dire: nuovi italiani, di pelle nera. Ci piacerebbe che non volesse dire niente, ma non c’è da essere così ingenui.
Non lo era Aretha Franklin, quando chiedeva rispetto al suo uomo, non lo sono questi ragazzi, quando chiedono di potersi sedere all’interno della conversazione pubblica italiana.
Non lo è, oggi, John Modupe, professione podcaster, che si guarda intorno e racconta quanto partire è stato difficile: non c’era nessuno a cui fare riferimento, lo stesso pubblico dell’incontro è anche oggi interamente composto da persone bianche e il concetto è che l’Italia ha bisogno di ascoltare questa e queste storie, di persone con diverse culture che ora sono parte della nazione. Una nazione abituata a sentire solo la propria cultura raccontata, che magari concede saltuariamente qualche posto di rappresentanza, ma non è quello che desidera John: lui ambisce ai riflettori e alle leve del potere.
Io non voglio essere solo la persona nera nella stanza.
John Modupe
Esattamente il pensiero di Moustapha Tiam, che ha riunito gli influencer di colore che parlano la nostra lingua, in una agenzia che punta direttamente al digitale per darsi luce dentro la società: una decina tra comici, attori, influencer che cercano le luci della ribalta. I giornali sono potenti, racconta, ma i social sono in tasca a tutti. E oggi in tv o nel mondo mainstream non ci sono persone di colore o di seconda generazione, qualcosa di assurdo che vogliamo cambiare, se pensiamo a come è composta la nostra società.
Chiedono rispetto, tutti: da Aretha come donna, ai comunicatori ed attivisti per la loro lotta per l’ambiente agli ospiti di quest’ultimo talk, come i rappresentanti di Occhio Ai Media (Shazeb Mohammad e Mary Babetto), che raccontano quanto sia distante il racconto giornalistico dalla realtà multiculturale della nostra società: ancora divisi tra buoni e criminali, a seconda dell’etnia, ciechi verso una popolazione che cambia e dei preconcetti che dovrebbero andare a svanire e che invece fanno ancora parte del modo in cui raccontiamo le cose.
Oltre cinquant’anni separano quel primo respect in forma di canzone da questo 2021: cambiano le guerre da combattere, le generazioni e i mezzi ma non il desiderio di avere voce in capitolo e gridare forte per le proprie battaglie. Internazionale a Ferrara è ripartito, speriamo che quel microfono (e quelle voci) non siano silenziate mai più.
Internazionale a Ferrara si è svolto nei giorni 1,2 e 3 Ottobre. Ritornerà il prossimo anno, dal 30 Settembre al 2 Ottobre.