Nello sport, la scaramanzia è una cosa seria. Per gli sportivi – certamente -, ma anche per i tifosi. Per anni ho dovuto andare a vedere la Carife con una spruzzata di Calvin Klein CK One sul collo e una sui polsi, ben strofinata tra uno e l’altro: niente di sconvolgente, peccato che io abbia sempre detestato quel maledetto profumo più di qualsiasi altro odore al mondo.
Me lo regalò qualcuno a inizio Duemila; avevo quasi sedici anni. Il nostro campionato si chiamava Legadue, e sul campo di Ferrara correva Terrel McIntyre. Volevo solo provarlo, quel profumo, proprio il giorno della partita. Ma poi la Carife vinse. E rivinse la volta dopo; e vinse ancora sfiorando lo scudetto. CK One era diventato necessario anche se rientravo a casa con il mal di testa e un accenno di nausea.
Per fortuna decisi di dichiarare definitivamente rotto l’incantesimo di Calvin Klein con un secondo scudetto appena accarezzato, nel 2006. Nel 2007, la conquista della finale della Coppia Italia di Legadue certificò positivamente la mia decisione, fortunatamente; ma che ansia fino a quel momento. Cambiare le carte in tavola non va bene, anche quando le cose vanno leggermente storte, perché potrebbero sempre andare peggio.
Il calcio non lo capisco proprio, ma il basket è sempre stato ossigeno per me.
Proprio negli anni di CK One, McIntyre e la Carife, tentai anche il coinvolgimento attivo nell’unica e insostituibile femminile Bonfiglioli Ferrara Basket. Ero talmente scarsa che mi tenevano in panchina perché ‘facevo gruppo’. Ero una sorta di motivatrice, una capo ultras direttamente in campo. Proprio così ho capito che il tifo fosse la mia vera vocazione.
La mia esperienza in tribuna – perché in curva non si vede la partita, diciamoci la verità – ha subito gli alti, i bassi e gli scossoni delle nostre società ferraresi. Dal picco di gioia della promozione in serie A del Basket Club Ferrara, al dolore della retrocessione, la cessione, lo scioglimento e la nuova Pallacanestro Ferrara in A2. Avevamo persino lo store.
Sarò sincera, l’esperienza del Kleb Basket Ferrara non mi coinvolse quanto la Carife. Il mio entusiasmo da adolescente era rimasto schiacciato sotto la retromarcia in Legadue del 2010. Poi i nuovi colori, il bianco e il nero sostituiti dai colori della SPAL, non mi convincevano proprio. Che la pallacanestro adottasse i caratteri del calcio non lo trovavo giusto.
Dieci anni dopo, e una lista interminabile di ‘Mi dispiace ma non ti accompagno a vedere il basket, però se vuoi andiamo allo stadio’, ho ringraziato di nascosto la mia segreta diffidenza nei confronti del Kleb Basket, che mi ha salvata dall’ennesima delusione per lo scioglimento della società. Mancanza di fondi: un tris di parole che non sono così sconosciute all’ambiente, e che squarciano il cuore di giocatori, collaboratori e tifosi. Gli stessi tifosi che gnolano al botteghino quando il biglietto costa più di 5 euro, ma queste sono le dinamiche della vita.
Scomparso anche il Kleb sotto il pelo dell’acqua, dall’orizzonte iniziava a scorgersi la prua di un’altra nave. Io, dalla riva, pensavo fosse tornato il momento di salire a bordo. Mi mancava così tanto il cinguettare delle scarpe sul parquet, l’odore di gomma, la mia schiena a pezzi sulle sedie di plastica, i piccoli gesti scaramantici dei giocatori, la palla sospesa in aria, e quel suono – perfetto – della corda che striscia sulla pelle d’oca degli spicchi, che si sentirà anche solo da vicino, ma quando si sente fa venire i brividi.
Quando ho letto per la prima volta di Ferrara Basket 2018 ho sentito le farfalle nello stomaco. Noi delusi e incompresi amanti del basket ne avevamo bisogno. E poi vogliamo mettere la carica di ripartire da capo? Sì, lo so, non sarà comprensibile a tutti questo mio entusiasmo, ma io sentivo – e sento – di volermi godere una rinascita. Passo dopo passo, volevo vedere la squadra studiarsi e comporsi, imparare a comprendersi e sostenersi. Con questa gioia nel cuore ho stretto in mano il mio abbonamento, e finalmente anche quello di cinque compagni di avventura. Con loro non ho voluto mancare nemmeno alla festa di presentazione della squadra, e sempre lì, ho deciso chi avrei idolatrato, chi avrei difeso davanti ai commenti negativi dei miei colleghi tifosi, e anche con chi mi sarei incazzata di più; che poi, si sa, ci si incazza sempre con quelli per i quali si prova un forte sentimento (odi et amo, nel basket più che mai).
Non li avevo ancora visti giocare, ma tra quei ragazzi sorridenti c’era già la mia squadra. Potevo vedermi su quella tribuna urlare ‘Tira!’ e ‘Dai dai difesa!’; che poi siamo buoni noi ad urlare ordini, quando in campo ci sono loro. Sapevo già che mi sarei affezionata a Romondia e Sankaré, i ‘piccoletti’ con un talento commovente; che avrei saltato sulla sedia con le triple del capitano, che Kuvecalovic e Porfilio avrebbero salvato la situazione, con freddezza ed eleganza; che Yarbanga si sarebbe fatto a pezzi per tenere salda in mano una palla che sembrava persa, riportando alto l’entusiasmo, e che il mio preferito avrebbe fatto trasparire il vero nervoso, perché Marchini ha il sangue che bolle quando gioca, e a me questa passione piace anche quando fa male.
Tutti con il loro carattere; si sono fatti conoscere così i miei nuovi prediletti. Li abbiamo visti in difficoltà ed è stato bello poterli sostenere anche quando sembra davvero di non poter fare nulla dagli spalti. Il tifo non è mai impotente, perché sono sicura che un boato possa riportare il cuore al suo ritmo naturale. Poi li abbiamo visti vincere e abbracciarsi, e ci siamo sentiti parte di quel successo. Con le nostre grida ci siamo guadagnati uno spicciolo di ogni partita vinta, un gradino di classifica fino a quelle magnifiche quattro. Una modalità di gestione incomprensibile di questo campionato di B Interregionale, e il tocco magico di coach Benedetto – di nome e di fatto -, ci ha portati ai play-in gold. Noi tifosi siamo riusciti a capire la logistica di questa seconda fase solo quando ormai eravamo entrati nei play-off, la fase successiva. E oggi siamo qui, sulla prima punta del monte, la più vicina alla vetta. La guardiamo da quaggiù con una vittoria e una sconfitta alle spalle, con la stanchezza di chi ha scalato la roccia, ma con la forza di chi ormai non vuole più scendere.
Vorrei essere riuscita a trasmettere uno solo dei milioni di brividi che mi attraversano il corpo quando mi siedo su quella sedia rossa, non tanto per raccontarvi i fatti miei – che è sempre un piacere – ma più per la mia voglia di condividere. Siamo lassù, Ferrara, e abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica che ce la possiamo fare. Noi tifosi, 12 leoni e uno staff tecnico, appoggiati alla parete ci stiamo godendo il sole tiepido prima di riprendere il cammino. Non vorreste essere parte di tutto questo? E, badate bene, non ho mai capito l’astio di quelli che ‘Facile salire sul carro dei vincitori!’, perché i vincitori sono loro 12, nessun altro. Noi possiamo solo spingerli più in alto con la nostra voce, e più siamo, più sarà forte. La volete una nuova squadra in città? Volete essere testimoni di questa rinascita? Volete sentire che profumo orribile mi toccherà indossare per scaramanzia? E allora venite al palazzo (la Giuseppe Bondi Arena, ndr), mercoledì 15 alle 20.45 (20.30 che vi strozzo se mi passate davanti a partita iniziata), e portate le caramelline balsamiche.
Tutte le foto sono di Nicolò Mazzini e sono tratte dalla pagina Facebook Ferrara Basket 2018