

Il Premio Estense compie 60 anni più uno. Dal 1965, Confindustria Emilia Area Centro premia l’eccellenza del giornalismo italiano con un riconoscimento, l’Aquila d’oro, che porta il nome della nobile famiglia ferrarese. C’è un punto di riferimento per il giornalismo italiano che abita a pochi passi da noi, eppure forse davvero non l’avevate mai sentito nominare prima. Perché? Probabilmente per la sua natura così specifica, o forse perché non sempre i nomi dei finalisti sono troppo conosciuti, oppure proprio perché il giornalismo stesso – soprattutto se ben esercitato – non è poi così popolare.
Il Digital News Report 2025 del Reuters Institute ci dice che, in Italia, il livello di fiducia degli utenti nei confronti del giornalismo – digitale, ma purtroppo poco cambia se consideriamo la carta – è decisamente inferiore rispetto a quella garantita da altri mercati europei: solo il 36% di italiani dichiarano di avere fiducia nella maggior parte delle notizie. Eppure, come sostiene la giornalista Melania Petriello nella sua intervista per Filo, è il giornalismo a consentirci di essere chi vogliamo essere, dandoci gli strumenti necessari per scegliere.
In un’epoca come quella che stiamo attraversando, il Premio Estense ha più che mai ragione di essere ben considerato; le indagini, i reportage e le raccolte di articoli che premia sono fotografie importanti e necessarie di un mondo che cambia prendendo troppo spesso una brutta piega: la conoscenza è oro quando la realtà diventa incomprensibile. E quindi ecco la storia del premio che il 27 settembre verrà assegnato a Ferrara per la 61esima volta.

L’idea del Premio è nata da Giorgio Piacentini, all’epoca Presidente dell’Unione Industriale di Ferrara – oggi Confindustria Emilia -, dopo aver partecipato come invitato al noto Premio Campiello. Affascinato dall’evento, Piacentini pensò di istituire a Ferrara un premio culturale che fosse diverso da quelli letterari tradizionali e che testimoniasse l’interesse degli imprenditori locali per l’arte e la cultura, in linea con il passato rinascimentale della città. L’obiettivo era quello di legare il riconoscimento al mondo del giornalismo, rivolgendolo sia agli iscritti all’albo dei professionisti che a quello dei pubblicisti.
Piacentini raccontò l’idea alla figlia Edgarda che coinvolse il giornalista e scrittore Gian Antonio Cibotto, il quale ebbe l’intuizione decisiva: premiare raccolte di articoli – pubblicate in volumi – che riflettessero la realtà contemporanea. Cibotto a sua volta presentò l’idea a Gianni Granzotto, un’altra figura di spicco dei media, che sposò l’iniziativa e accettò di presiedere la giuria tecnica.
La prima edizione della premiazione pubblica fu organizzata rapidamente, e si tenne il 25 giugno 1965 al Teatro Nuovo di Ferrara. Fin da subito fu chiaro il coinvolgimento diretto della città attraverso l’istituzione di una giuria popolare che, affiancata a quella tecnica che seleziona i 4 finalisti, è chiamata a decretare (“solitamente dopo vivaci pubblici dibattiti”) il vincitore o la vincitrice: un carattere distintivo non di poco conto. I primi vincitori dell’Aquila d’oro furono, ex aequo, Carlo Bo con la raccolta di saggi Siamo ancora cristiani? e Alberto Cavallari con La Russia contro Kruscev. Altri tempi, sicuramente, ma davvero così tanto distanti da noi?
Nel corso degli anni Settanta, il premio si consolidò coinvolgendo firme prestigiose come Enzo Biagi e Antonio Spinosa. Nel 1978, la sede della cerimonia finale fu trasferita dal Teatro Nuovo al prestigioso Teatro Comunale di Ferrara, dove si svolge ancora oggi.

Nel 1985, dopo vent’anni di presidenza della giuria tecnica, Granzotto morì e venne istituito in sua memoria il Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell’informazione. Ancora oggi, questo premio speciale viene conferito a una personalità del mondo dell’informazione che si è distinta per correttezza, impegno e professionalità, alla base dell’etica di un ruolo così delicato come quello del giornalista. Il riconoscimento consiste in una riproduzione in argento della colubrina La Regina, un celebre cannone realizzato verso la metà del Cinquecento per il duca Ercole II d’Este. Il primo a riceverlo fu Indro Montanelli.
Nel 1995 nacque il Premio Estense Scuola per sottolineare il radicamento del Premio nel tessuto sociale e culturale della nostra città. Da allora, l’iniziativa coinvolge gli studenti degli istituti superiori delle province di Bologna, Ferrara e Modena, chiamati a realizzare lavori di gruppo che offrano una rilettura originale e creativa dell’ultima opera vincitrice del Premio Estense.


Nel 2024, per la prima volta la giuria tecnica ha incontrato la giuria popolare per condividere le motivazioni alla base della scelta dei finalisti, un gesto che sottolinea di nuovo l’importanza dell’elemento distintivo del Premio, di questa sua apertura alla città e necessità di coinvolgimento.
Insomma, da 60 – più uno – anni, quindi, il Premio Estense continua a premiare l’eccellenza del giornalismo italiano, affrontando i temi cruciali della società contemporanea. Ed è interessante notare quanto le opere premiate in questi decenni riflettano le grandi questioni affrontate dal nostro Paese e dal mondo intero: dalla camorra, il terrorismo, la ‘Ndrangheta al Nord, e il traffico di esseri umani dei primi 10 anni del Duemila, agli eventi epocali degli anni Venti del nuovo millennio.
Nel 2020, ad esempio, alla sesta votazione, vinsero ex aequo Pablo Trincia con Veleno – un’inchiesta sul caso dei Diavoli della Bassa Modenese – e Concetto Vecchio con Cacciateli!, la storia degli emigrati italiani. Nel 2021, fu premiata Francesca Nava per Il focolaio, un’indagine sulla gestione della pandemia di Covid-19. Poi politica italiana, errori giudiziari, la storia americana raccontata da Francesco Costa per l’edizione record del 2024, i sessant’anni tondi con 72 opere candidate, e il quarantesimo Riconoscimento Gianni Granzotto assegnato ad Antonio Caprarica.

In questo 2025, i volumi candidati sono stati 80: un nuovo record nella storia del Premio. I quattro finalisti sono già stati annunciati: Paolo Rumiz con Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa (Feltrinelli), che racconta un’Europa assediata da guerre, una notte insonne che inspessisce i confini e alimenta l’odio; Gad Lerner con Gaza. Odio e amore per Israele (Feltrinelli) permette una delicata riflessione, in un percorso critico che chi conosce così bene Israele può fare con esemplare intelligenza; Marzio G.Mian con Volga Blues. Viaggio nel cuore della Russia (Gramma Feltrinelli), il reportage di un viaggio nel cuore della Russia, sul corso del Volga, tra la memoria dell’Unione Sovietica e l’ascesa di Putin (e si torna alla prima edizione del Premio con un balzo un po’ prevedibile); Milena Gabanelli e Simona Ravizza con Codice rosso. Come la sanità pubblica è diventata un affare privato (Fuori Scena) per un ritratto della sanità pubblica diventata oggi un ‘affare privato’. Il premio verrà assegnato sabato 27 settembre, alle 18, al Teatro Comunale Claudio Abbado (ma si può seguire in diretta anche su YouTube). In quella sede sarà presente anche Corrado Augias, vincitore del del 41esimo Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell’informazione.

Quanto siamo disposti ad approfondire per comprendere? Quanto tempo vogliamo impiegare per costruire un’opinione ragionata? Quante campane dobbiamo sentire per mettere in discussione – o rafforzare – la nostra posizione? Possiamo fidarci di coloro che, come ricorda Alberto Faustini, presidente della giuria tecnica, si “consumano le suole per andare a vedere, a scoprire, a capire per poter poi raccontare”? Noi, amanti della scrittura prima che del giornalismo, vogliamo invitarvi a (ri)cominciare da un libro, perché, qualsiasi posizione scegliate di difendere, è importante che lo facciate dall’alto della vostra curiosità e conoscenza.
Il ruolo di Filo in fondo è sempre stato quello di permettere ai ferraresi di non perdere un’occasione, di dare loro l’opportunità (e il lusso) di scegliere attivamente tra un’ampia gamma di possibilità; ed è per questo che abbiamo voluto raccontare questa storia. Molti e molte di voi la daranno per scontata, altri e altre – speriamo – si interesseranno a qualcosa di nuovo.


Clelia nasce a Ferrara il 5 gennaio 1988, in una famiglia di artisti che tenta di salvare la creatura dal tremendo e precario mondo dell’arte, per più di 20 anni. A maggio 2017, nell’Aula Magna del DAMS di Bologna, mamma Alessandra-musicista e papà Franco-restauratore accettano di aver cresciuto una cantante laureata in Storia Dell’Arte. Oggi è copywriter per l’agenzia Dinamica, scrive racconti brevi per amore delle parole, e collabora con le associazioni culturali ARCI Contrarock ed Officina MECA.