Io e Ferrara, lupi solitari

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di Erica Borghi

Ferrara è una città emiliana che però non è sulla via Emilia. Un po’ fuori rotta, un po’ al confine.
In queste sere di luna piena Ferrara mi sembra più distante che mai, un po’ lontana da tutto, ma mai troppo: dal mare, dalle colline, dalle isole, dalle montagne. Secondo me è per questo che è così chiusa e che le persone che ci vivono difficilmente vanno altrove. Anche se la frequento da quando avevo vent’anni, gli amici che ho qui si contano sulle dita di una mano e li vedo a spot.

A Ferrara non mi sono mai sentita davvero accolta. Ho vissuto qui, sì, ma sempre da ospite. Non l’ho mai considerata casa.
Una volta un mio amico di Ferrara mi ha detto che uno dei motivi per cui probabilmente non mi sono mai sentita né accolta né accettata è perché, qui, i ferraresi fanno “branco”. E quando cambiano branco, cambiano anche pelle. Mi è rimasta impressa quella parola: branco. Perché è un sistema di sopravvivenza.

Il lupo, dopotutto, non è un animale solitario. Vive e si organizza in unità familiari chiamate branchi. Ogni branco ha un suo territorio ben definito, che difende dagli intrusi. È nel branco che il lupo caccia, si riproduce, cresce i cuccioli, mantiene l’equilibrio. Fuori da quel perimetro, è vulnerabile. Invisibile o in pericolo. A pensarci bene, anche i ferraresi sembrano così: si muovono in formazioni compatte, coese, protette da confini invisibili ma invalicabili. Ogni gruppo ha il suo codice, i suoi ritmi, le sue regole non scritte. Se non ne fai parte, resti fuori. Non c’è ostilità, ma nemmeno inviti. E cambiare branco comporta una trasformazione: cambia il linguaggio, la direzione, il passo.

In effetti conoscevo una ragazza che frequentava due compagnie molto diverse tra loro e a seconda del “branco” sembrava trasformarsi un po’ anche lei. Con la prima era riservata, parlava poco, quasi esclusivamente di musica, e manteneva un atteggiamento serio, quasi da suora, fin troppo educato. Con l’altra invece era l’opposto: parlava ininterrottamente, più come uno scaricatore di porto che come una ragazza raffinata e con un tacco alto sembrava decisamente più a suo agio. Con entrambi i branchi beveva parecchio. La sua frase preferita era “Hai il criceto nel cervello che sta correndo molto veloce”. L’ho sempre trovata più offensiva che simpatica. Se una sera usciva con una compagnia e poi incrociava l’altra, si fermava per poche battute e poi fuggiva, prima di trasformarsi.

Ma il mio amico mi ha detto che non è la sola, qui tutti hanno il loro branco: c’è il branco dei ciclisti, quello degli amici di vecchia data, quello degli amici della piscina, quello del paese d’origine, quello di scuola, quello dell’ex, quello del lavoro, quello degli sbandieratori, quello dei musicisti, quello degli spallini demotivati, quello dei nord africani, quello uscita solo donne, che nella maggior parte dei casi serve a incontrare quello uscita solo uomini. Io non faccio parte di nessuno di questi gruppi. Infatti, in questa città, mi sento un’isola, nel senso brutto.

Ma Ferrara continua a chiamarmi. Credo che questa città mi assomigli più di quanto io non voglia, ma io non le appartengo e probabilmente non mi avrà mai perchè siamo diverse, ognuna protetta dalle sue mura. Forse è per questo che abbiamo così bisogno una dell’altra. Forse è proprio questa tensione a tenerci unite. Manteniamo una distanza di sicurezza – a volte elegante, altre ubriaca — ma ci riconosciamo. Nei nostri confini. Nelle nostre rigidità. Nei nostri silenzi. E continuiamo a cercarci, senza volerci davvero.

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L’ho sempre detto: se non fossi nata e cresciuta a Bologna, avrei cercato Bologna in tutto il mondo. Perché è dove mi riconosco, senza aggiungere altro. Ogni volta che resto un po’ di più a Ferrara, mi manca Bologna. Mi manca la sua schiettezza, la puzza di piscio improvvisa, il baccano dei locali, il suo calore, la sua confusione, sentirmi protetta da un portico anche in un giorno di pioggia. E ogni volta che sono a Bologna, Ferrara non mi manca. Ma resta lì, come un pensiero che ritorna, come un amore che non è mai stato.

Forse è questo che siamo, io e Ferrara: un legame mai nato davvero, ma difficile da sciogliere. Sappiamo di non appartenere l’una all’altra, eppure continuiamo a guardarci da lontano. Un amore mai nato. E forse, proprio per questo, non smettiamo di cercarci. Ferrara sembra un lupo solitario. E io pure. Ma il lupo solitario è un’invenzione, buona da raccontare per aggrapparci un po’ di più alla nostra distanza.

Quando un lupo ulula, non è per cercare la luna piena, ma per chiamare gli altri.

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