

Posso tornare a parlare di basket dato che l’anno scorso non ho fatto danni. Parlavo in questo articolo della mia passione, della mia superstizione, e del rischio che mi stavo prendendo con un endorsement alla vigilia di gara 3 della nostra Ferrara Basket 2018 contro la Gardonese.
Oggi, siamo in una fase delicata, e, sopportando un misto tra dispiacere e senso del dovere, non mi sento ancora di parlare della squadra; e sottolineo ancora. Chi ha già avuto modo di guardare la nuovissima serie Netflix, Running Point, potrà capire se non nomino quella fase del campionato che inizia con la P, dato che siamo ancora tra le ultime partite della sessione precedente (nel groviglio della formula più delirante della storia delle regole dei campionati). Quindi, per non perdere l’occasione di trattare il mio argomento preferito, ho deciso di raccontarvi un’altra storia di pallacanestro, una storia di amicizia, di stima, anche di delusione, ma soprattutto di infinito affetto e passione: è quella della nostra curva, il Sesto Uomo.
Che si giochi in casa o fuori, la macchia blu e bianca del Sesto Uomo sugli spalti è rassicurante anche per chi tifa senza urli e senza striscioni. Si appartiene allo stesso mondo, alla stessa ansia, anche se loro – lo si deve proprio dire – fanno qualcosa di indispensabile in più di noi. Il tifo vero, quello dei cori urlati, è una necessità che conosce bene chi ha la fortuna di averlo sentito dal campo; ed è anche una bella fatica per chi lo tiene in piedi.
Finiscono le partite con un filo di voce i sei protagonisti della mia storia. Mi hanno raggiunta per cena solo in sei, per ragioni di spazio e per fare una chiacchierata più ordinata possibile, ma per fortuna su quegli spalti stanno tornando ad essere sempre di più.

‘Manca qualcuno del gruppo più attivo, ma solo perché questa sera non riusciva proprio ad esserci’ mi spiega Federico, il capo in carica, e capisco già quanto sia inusuale la coesione di questo gruppo di ragazzi. Arrivano dal palazzetto dove avevano un appuntamento con i referenti della società per discutere la posizione della curva rispetto a quanto accaduto dopo la partita del 30 marzo, contro Pizzighettone. Uno dei due arbitri si è trovato il parabrezza crepato, un atto violento che non è proprio nelle corde della nostra curva, né dei tifosi di Ferrara. Dopo un primo comunicato social del Sesto Uomo, è uscito anche il comunicato della società che, dissociandosi e condannando ufficialmente l’accaduto, sottintende un po’ troppo curva e tifosi sotto il cappello di Ferrara Basket, lasciando evidente spazio a interpretazioni non corrette. ‘Ho chiesto di specificare la nostra estraneità ai fatti sul loro comunicato, e di difendere i tifosi – dice Federico -. Non è nemmeno corretto dare per scontato che sia stato qualcuno che era a vedere la partita perché ci risulta che la macchina dell’arbitro non sia stata l’unica danneggiata in zona. In questi casi, la prima conclusione automatica è che sia stata la curva, ma noi non siamo proprio così: dentro il palazzetto ci si provoca, ed è parte del gioco, ma fuori le regole sono diverse’. Ormai la faccenda si è risolta – se così si può dire – con una multa, ma è giusto che si sappia che la nostra curva ha tutta un’altra idea del suo ruolo; come dice Federico ‘Essere Ultras non significa essere violenti, o urlare solo delle cattiverie agli avversari, ma significa avere testa e essere come noi: presenti e partecipi, per sostenere la squadra comunque vada la partita’. Tra Sesto Uomo e società c’è un giusto spazio di confronto, per una necessità reciproca. Ferrara ha sempre offerto un tifo organizzato appassionato, e le squadre hanno sempre dimostrato di averne bisogno.
La passione di questi ragazzi diventa ancora più evidente quando faccio la prima domanda alla tavolata. Chiedo ‘ricordate la vostra prima volta al palazzetto?’ e 12 occhi si illuminano.
‘La mia prima partita è stata contro Trieste, play-off della A2 – mi spiega Marco -. Era il 2015; io e Matteo eravamo alle superiori. Avevamo appena iniziato a seguire il basket ma ci trovavamo per guardare le partite del l’NBA sul divano, finché un giorno ci siamo detti ma noi una squadra in città ce l’abbiamo e ci siamo decisi a provare ad andare al palazzetto’.
‘La mia prima in realtà è stata l’ultima partita della regular season della stessa stagione contro Latina – lo segue Matteo -. Il primo anno in cui c’era Hasbrouck. Mi sono divertito davvero tanto e ho voluto tornare la volta successiva: la partita dopo era contro Trieste. Siamo andati assieme a vedere gara 2 in casa io e Marco’.
‘…e gara 3 in trasferta: la mia prima trasferta in assoluto – aggiunge Marco -. Abbiamo fatto due anni in gradinata, poi, durante il secondo anno, per la partita contro la Fortitudo appena retrocessa hanno chiuso la gradinata. Quella è stata la prima volta che siamo andati in curva perché andare in tribuna costava troppo’ e ridono. ‘Ricordo che la prima volta una signora si lamentò perché io e Matteo eravamo in piedi. Una ragazza ci difese subito dicendole che eravamo in curva, che noi potevamo stare in piedi e se mai si sarebbe dovuta spostare lei se avesse voluto vedere bene. Da lì siamo sempre rimasti in curva’.
’Io ricordo la data precisa – dice Marcello -: era il 14 maggio 2014. Play-off, in casa contro Ravenna. Mi hanno trascinato degli amici in gradinata. Siamo finiti in curva alla fine della stagione successiva perché è là che si vive la partita’.
‘La prima volta che sono stato al palasport è stato per la finale play-off, Semper Ferrara contro Barcellona Pozzo di Gotto, anno 1998 – dice Federico – Da allora ho continuato per tutto il periodo di A2 e A, fino al 2011, quando Mascellani vendette il titolo alla Fortitudo. Lì smisi con le mie ragioni: ho fatto anche tutte le giovanili, ero giocatore, quindi puoi immaginare quanto fossi affezionato alla società, e quanto mi diede fastidio quella vendita. Sono ritornato dopo quella volta solo nel 2016. Sono sempre andato in gradinata, perché inizialmente avevo anche l’abbonamento da giocatore delle giovanili, ma mi sono avvicinato alla curva nel periodo dei NUF e della Vecchia Guardia della Spal. In quegli anni, attorno al 2016, avevo l’abitudine di fare la doppietta: prima la partita della Spal e poi il basket. Con questi ragazzi sono arrivato alla curva poco prima del covid. L’anno di rifondazione è stato il primo di B Interregionale in effetti’.
‘Io ero fissato con il calcio, ma sono sempre stato attento al basket – dice Tommaso -. Capitava che andassi anche al palazzetto, ma continuavo a seguire la Spal come prima passione. All’arrivo di Tacopina ho iniziato a non essere più tanto preso dal calcio. Mi sono avvicinato al basket, alla curva, e lì ho scoperto il mio posto, il mio gruppo’.
Quindi, perché la curva?
‘Secondo me è quasi terapeutico stare in curva – dice Matteo -; è rassicurante e appagante essere circondato da tante persone che tifano come tu pensi che debba essere il tifo: deve essere caloroso, devi farti sentire, devi incitare la squadra. Secondo me la curva è lo spazio perfetto dove condividere questa passione’.
‘In gradinata guardi, in curva vivi proprio la partita’ aggiunge Marcello.
‘Sinceramente a me manca vedere un po’ bene la partita, perché adesso ho sempre un pilastro di cemento davanti agli occhi! – scherza Marco (ma questo è il vero motivo per il quale io non arrivo ancora alla curva).

Come avete vissuto il momentaccio del 2023, con la crisi, la caduta e il fallimento?
‘A livello sportivo abbiamo visto una bella pallacanestro, abbiamo visto nomi importanti – racconta Federico – ma abbiamo anche visto una società spendere soldi che non aveva pur di far arrivare a Ferrara questi nomi importanti; è la verità. Il secondo anno di A2 avevamo una squadra che sulla carta poteva andare in A1. D’Auria ha avuto tanti problemi e gli abbiamo visto fare delle scelte obbligate, indipendentemente dalle nostre opinioni, che sono note. Con Miozzi siamo falliti, e siamo dovuti ripartire. Diciamo che l’anno del fallimento è stato l’anno in cui ci siamo davvero avvicinati, tra di noi ma anche con la squadra. Anche umanamente eravamo tutti molto vicini. In realtà quella squadra e quella società, prima del fallimento, ci rappresentavano davvero: i giocatori davano l’anima in campo e noi sempre al loro fianco. Era una situazione davvero difficile; però, proprio in quell’anno, in estate, sentivamo voci sulla ripartenza e ci siamo detti che avremmo dovuto ripartire anche noi, chiedendo la possibilità ai fondatori di riprendere in mano anche il Sesto Uomo per il tifo organizzato’.

Ma come nasce quindi il Sesto Uomo?
Continua Federico: ‘Il gruppo con il nome Sesto Uomo nasce nel 2019. A fine 2018 rubarono le striscione ai ragazzi delle nuove leve, alla fine della partita contro la Fortitudo, e quando ti rubano lo striscione sei costretto a cambiare nome. Alcuni ragazzi storici della curva di allora decisero di rifondare il gruppo con il nuovo nome, ma non avevano più la mentalità da tifo organizzato. Si mettevano in curva a guardare la partita e nulla di più. Quando, nell’estate 2023 abbiamo chiesto loro di passarci il testimone perché ci credevamo, volevamo essere quel tipo di curva, con il vero tifo organizzato, hanno accettato ma molti di loro hanno deciso di spostarsi in gradinata; è stata una scelta, come quella di lasciarci il nome. Oggi ci manca solo un po’ il ricambio generazionale: ne abbiamo bisogno perché abbiamo quasi tutti famiglia e lavoro, e gli impegni si fanno sentire. Speriamo di riuscire ad avvicinare sempre più ragazzi con la nostra mentalità da curva, lasciando loro uno spazio libero dove non si debbano sentir dire ‘non sbandierare, non vedo, non urlare’ e tutte le altre cose che li allontanano, ma dove possano sentire davvero la carica e la bellezza di questo sport, in mezzo ad un gruppo così legato’.
Da timida frequentatrice della gradinata, ma con l’ansia di chi vorrebbe sgretolare i muri con un urlo, posso dire con sincerità che la curva abbia un ruolo fondamentale nel gioco e, in un certo senso, possa incidere davvero sull’andamento della partita. La curva trascina il palazzo intero, detta i toni, sottolinea le emozioni, sostiene quei 5 cuori e quella panchina sotto pressione. Il legame con la squadra di oggi è davvero evidente; lo si capisce da come parlano di Marchini e dei suoi ultimi interventi magici, da come difendono il rapporto tra coach Benedetto e il giovanissimo Yarbanga – ‘crede così tanto in lui che è sempre il primo con il quale se la prende’ -, da come sottolineano i risultati importanti di Dioli e come rimpiangono Turini, fuori per infortunio da più di metà campionato.

‘Speriamo che il palazzetto ritorni quello di una volta, quando il tifo era molto più collettivo. Oggi, a meno che la partita non ingrani, tribune e gradinate partecipano poco, ed è proprio quando la squadra fatica che serve il tifo – dice giustamente Matteo -. Primo su tutti Drigo, che è davvero l’uomo spogliatoio, il capitano, ma capita che tanti giocatori ci cerchino durante la partita proprio per sentire la carica’.
‘Ci sono anche squadre che non hanno la fortuna di avere un tifo come il nostro- aggiunge Marco -. E quelli che ce l’hanno se la tengono stretta. Si vede anche rispetto al rapporto che abbiamo con i giocatori, che è diverso da tanti altri sport. Non è la categoria, perché anche in A2 ci capitava, ma nel basket i giocatori si ricordano bene chi siamo. Lo sanno che tu sei quello che canta e te ne sono grati’.
‘Nel 2014 non c’era il gruppo che c’è adesso – aggiunge Marcello -: noi siamo legati anche al di fuori del palazzetto e stiamo un ricreando un tifo organizzato che si era un po’ perso, partendo dalla nostra coesione’.
Un ultima birra e decidiamo di salutarci.
Mentre recupero la mia bicicletta mi passano accanto Federico, detto Guerzo, e Marcello, abbracciati, cantando ‘Sono sempre insieme a lei, sola non la lascio mai, lotta e vinci insieme a noi!’.
Sto parlando proprio di questa passione qui.
Clelia nasce a Ferrara il 5 gennaio 1988, in una famiglia di artisti che tenta di salvare la creatura dal tremendo e precario mondo dell’arte, per più di 20 anni. A maggio 2017, nell’Aula Magna del DAMS di Bologna, mamma Alessandra-musicista e papà Franco-restauratore accettano di aver cresciuto una cantante laureata in Storia Dell’Arte. Oggi è copywriter per l’agenzia Dinamica, scrive racconti brevi per amore delle parole, e collabora con le associazioni culturali ARCI Contrarock ed Officina MECA.