Poche ore dopo l’uscita di “Rumore” il padre di Federico Lino Aldrovandi, scrive un post su Facebook:
A maggio di quest’anno venne a casa mia una giovane ragazza, Francesca Zanni, giornalista e pubblicista freelance. Aveva un progetto. Voleva parlare al mondo della triste storia di Federico in un podcast. Quel progetto, sul mio indirizzo email è arrivato. Si è realizzato. È lei stessa che me lo ha comunicato alle ore 01:41 di questa mattina 2 settembre 2022. Ha suddiviso la storia in 6 puntate, tutte ascoltabili gratuitamente. E’ un altro tassello prezioso che si aggiunge alla maledetta storia della mia famiglia, per non dimenticare “un’orribile storia per le stesse forze dell’ordine, oltre per chi la subì”. Al fine di non smettere mai di far riflettere su certi errori, ma soprattutto “orrori”. Senza se e senza ma. All’epoca dell’omicidio di Federico, Francesca era poco più che ragazzina, ma la precisione e la dovizia di particolari con cui lo racconta, attraverso voci note a me care, impreziosita dalla sua frizzante bellezza di giornalista freelance, scevra da ogni condizionamento, mi fa quasi pensare che anche lei a quell’epoca ci fosse. E’ importante a mio avviso che siano proprio i giovani a non dimenticare. […] Ascoltatelo un po’ alla volta. Una puntata ogni tanto e quando ve lo sentite. E’ lì e nessuno lo porta via. Io l’ho fatto tutto d’un fiato. Ho sofferto, non lo nascondo. Ho rivissuto i momenti più brutti della mia vita, ma allo stesso tempo con la consapevolezza di far qualcosa di utile per gli altri. Anche se mi mancano tanto le carezze di chi amerò per sempre e perché no, i “papà non rompere” e tanto altro ancora. Di quello che un tempo, sia per me che per Federico, esisteva: la nostra famiglia. Vi chiedo soltanto che quando lo farete, fatelo pensando ai vostri figli e a chi amate, con tanta dolcezza, senza far “rumore”..
Con un certo peso allo stomaco abbiamo ascoltato Rumore, che racconta e taglia a metà qualche anno della nostra città e della sua innocenza perduta, non tanto nei fatti ma nel contesto: l’omertà, i depistaggi, quelle frasi impronunciabili da parte di alcuni, quel tipico giudizio che ogni giovane ha ricevuto in quanto giovane, come se l’età fosse un’etichetta e non un numero, una colpa e non un fatto. È stato un ascolto violento, come è normale che sia, perché è una storia di sangue e se ha uno scopo è unicamente nel suo essere un campanello da tenere acceso nel rapporto tra Stato e istituzione, tra società civile e magistratura, tra italiani e altri cittadini del mondo, tra giovani e anziani. C’è tutto e nel podcast è raccontato tutto: chi volesse attraversare di nuovo con passo incerto quel sentiero di dolore, troverà il podcast da ascoltare alla fine di questo articolo.
Da parte nostra, ci siamo presi qualche minuto per conoscere Francesca Zanni, autrice solitaria (o quasi) di un enorme lavoro che è giornalismo nella sua forma più essenziale: il racconto dei fatti.
Francesca, come ti è venuta l’idea di realizzare un lavoro così importante sulla storia di Federico Aldrovandi?
Io non sono di Ferrara, sono nata a Carpi e vivo a Reggio Emilia e non ho un legame diretto con la vostra città: allo stesso tempo sento molto vicine le storie di ingiustizia e questa è una delle storie di ingiustizia più importanti del nostro paese. Sentivo quasi la necessità di raccontarla.
Anche perché c’è da dire una cosa: esistono tanti libri sulla vicenda, ci sono due documentari, anzi tre pensando alla serie di “Un giorno in pretura”, sono state scritte tante canzoni su questa vicenda. Allo stesso tempo non c’è stato un racconto così mediatico come nel caso di Carlo Giuliani (al g8 di Genova) o Stefano Cucchi. Per cui mi sono detta: perché una storia così importante non è ancora stata tradotta in quello che è il linguaggio oggi più di moda, più in ascesa e cioè quello del podcast?
È una storia a cui mi sono sempre sentita vicina. Ho realizzato questo podcast in maniera indipendente, anche se originariamente non era quella l’idea: prima di tutto mi impauriva dal punto di vista legale, perché è un campo in cui fioccano le querele. Era una storia che conoscevo ma avevo paura di non farcela da sola: una volta compreso che non sarei riuscita ad avere il supporto ad esempio di una testata, mi sono detta: ok, quest’anno non faccio le vacanze, non dormirò le notti, non importa.
Allo stesso tempo è un linguaggio che conosco: sono l’autrice da diversi anni di un podcast (Irrisolti. I misteri del crimine) che però segue più un linguaggio di storytelling, mentre in questo caso è stata una vera e propria inchiesta.
In un tuo post successivo alla pubblicazione del podcast hai scritto “il dolore e l’angoscia che mi attanagliano da quando ho iniziato a lavorare su questa storia non se ne vanno“. Cosa ti ha lasciato dentro questo lavoro? Cosa hai incontrato venendo a Ferrara e conoscendo le persone protagoniste della storia?
Emotivamente è stato devastante, sono ancora qui che ci sto lavorando e non credo me ne libererò mai. Dal punto di vista personale sono stati tutti carinissimi ed enormemente disponibili: ho trovato grande accoglienza e mi sembrava di conoscere queste persone da sempre, non ho parole per descrivere l’apertura e la gentilezza che ho trovato in Lino Aldrovandi. Non riesco a trovare una parola diversa da eccezionale nel modo in cui si è aperto con me e con Enrico Bergianti che ha fatto il fonico di presa diretta.
Non eravamo pronti a qualcosa di così impattante, non si è pronti a trovarsi davanti al dolore delle persone. Allo stesso tempo ci tengo a dire, e spero di esserci riuscita, che mi sono impegnata a non fare pornografia del dolore, a non marciare sulle emozioni alla ricerca di click o ascolti, come purtroppo capita spesso. Un’altra cosa che ho cercato di evitare e che non apprezzo, a livello giornalistico, è l’inserire un “io” nella vicenda: non mi sarei mai sognata di aggiungere le mie impressioni, quello che succedeva a me. A nessuno deve interessare chi racconta e le sue sensazioni, quello che conta è la storia di Federico, la voce di Lino Aldrovandi e del suo avvocato Fabio Anselmo.
Strutturalmente si poteva impostare Rumore in molti modi. Mi sembra che tu abbia scelto un approccio lontano dalla ricerca di momento ad effetto, di un traino tra le puntate, per assurdo ascoltando le prime due puntate, se non si conosce la vicenda, non si spiega in maniera diretta cosa sia successo.
Esattamente, questo è un punto importante: io ho immaginato esattamente di partire dal 25 di settembre del 2005. Noi, quel giorno non sappiamo niente: abbiamo solo questi dati, conosciamo le chiamate che fa Federico, le chiamate dei carabinieri, noi non sappiamo cosa è successo e lo capiamo solo man mano che la storia avanza. E farlo capire piano piano aiuta anche per la storia, perché come dice anche l’avvocato Fabio Anselmo “i poliziotti erano le ultime persone a cui potevamo pensare”. Ho cercato di arrivare gradualmente alla poca verità che conosciamo. Manca, ancora oggi, il perché sia successo ed è il motivo dell’appello finale di Lino.
In questi primi giorni dalla pubblicazione che reazioni hai ricevuto?
Davvero tante reazioni: pensare alle venticinquemila visualizzazioni del trailer su Instagram (numeri riferiti a lunedì, Ndr) è tanto. Mi sono arrivati moltissimi messaggi di persone che mi hanno scritto per ringraziarmi di questo lavoro e per me è un onore incredibile. Sono molto contenta del feedback ricevuto dal padre di Federico, e questa per me è la cosa più importante, era l’elemento a cui tenevo di più.
Per concludere, ti sarebbe piaciuto poter aggiungere qualcosa a questo podcast? C’è una voce mancante?
Mi sarebbe piaciuto trovare e intervistare Annie Marie Tsagueu, la testimone chiave del processo, ma non è stato possibile. Per il resto c’è tutto quello che conosciamo, ovviamente manca la verità, che conoscono solo le persone in servizio quella mattina. E questo è un tema centrale della domanda iniziale, perché raccontare questa storia, dopo anni, in un podcast: sono state realizzate tante cose riguardo alla tragica morte di Federico Aldrovrandi ma nessuna da un suo coetaneo.
Io non sono di Ferrara e non ho studiato a Ferrara. Però avevo la sua età in quegli anni, andavo anche io a ballare in quei locali e tornavo a quegli orari, da sola. È la casualità della cosa che mi ha colpito: potevo essere io, il mio fidanzato, i miei amici. Mi sentivo in dovere di raccontare questa storia dal punto di vista di chi aveva diciotto anni nel 2005: io e Federico siamo stati giovani nello stesso momento e sentivo che mancava il racconto di qualcuno che potesse essere Federico e non il padre di Federico.
“Rumore. Il caso di Federico Aldrovandi” è un podcast prodotto e realizzato da Francesca Zanni, con la collaborazione di Enrico Bergianti. Le musiche originali sono di Francesco Imbriaco, Artwork di TigreControTigre.