Come si realizza un lungometraggio? E un cortometraggio? A quanti si saranno iscritti al workshop organizzato dall’hub culturale Consorzio Factory Grisù risponderà direttamente la regista, sceneggiatrice e per anni assistente alla regia di Giancarlo Nicotra Elisabetta Villaggio, figlia di Paolo Villaggio.
La masterclass “Corto e Lungometraggio: le basi” è pensata per chi voglia conoscere le basi tecniche-artistiche del dietro le quinte, ed è organizzata in collaborazione con CNA, ECIPAR e Ferrara Città del Cinema. Abbiamo incontrato Elisabetta Villaggio ad una manciata di ore dall’inizio del workshop, che si terrà nel weekend del 26 e 27 marzo.
Come nasce la passione per il mondo dietro la macchina da presa, vista anche l’esperienza di un padre che stava invece davanti alla macchina da presa?
Fin da piccola, a differenza di altre persone, ho avuto la possibilità di avere più dimestichezza con questo lavoro per via della mia famiglia. Mi ricordo quando da piccolina, ero all’elementari, un giorno sono andata con mio padre a Canzonissima da Raffaella Carrà. Eravamo nel famoso Studio delle Vittorie, che adesso è intitolato a Fabrizio Frizzi. Mi ricordo l’emozione di entrare da dietro le quinte e di incontrare Raffaella Carrà, è stata una cosa che mi ha emozionato moltissimo. Infatti poi da grande il mio lavoro principale è stato in televisione: ho ricoperto vari ruoli ma sempre dietro le telecamere.
Mi è sempre piaciuto questo mondo: dal 2005 tengo un corso annuale sulle basi della produzione. Parto dai diritti, da come si costruisce una storia, da che lato la si prende, lo sfoglio della sceneggiatura, l’ordine del giorno e le differenze che possono esserci tra un lungometraggio un cortometraggio, o un film, o un documentario d’esempio. Anche nel workshop che faremo questo weekend a Ferrara tratteremo di questi argomento, ma si tratterà di un corso concentrato e potrà dare le basi a chi ha interesse per questo mondo.
Un mondo nel quale più o meno tutti conoscono il ruolo del regista o quello degli attori ma poco si sa di tutte le figure che compongono la troupe. Certo, tutti sanno più o meno cosa fa il regista o cosa fa l’attore ma ci sono una serie di ruoli che sono fondamentali. La macchina cinema è un gruppo composto da tante persone che lavorano insieme: il comandante è il regista ma tutte le altre figure sono fondamentali, ognuno nel proprio campo, affinché si realizzi il lavoro migliore possibile.
Da quello che racconta si nota come abbia avuto un’esperienza lavorativa poliedrica: deriva da un’esperienza di studio poliedrica?
Penso che più esperienze si abbiano nella vita più si capisce come rapportarsi con gli altri e si scende un po’ dal piedistallo, che è una cosa che io non ho mai fatto e odio chi lo fa, anche se sei chissà chi.
Rispetto al workshop cosa può dirci?
Mi aspetto di dare le basi per capire come ci si può muovere. Se ad esempio voglio mettere certe musiche, posso averne diritto o no? Se voglio prendere una storia di un libro posso farlo? Non devo prenderla? Farlo senza cognizione può essere un rischio. Ci sono sceneggiatori, a volte anche esperti, che iniziano una sceneggiatura scrivendo: “Sulle note dei Pink Floyd”. Questo può causare anche uno scarto del copione stesso proprio perché ottenere i diritti di quella canzone è complicato. I Pink Floyd, con i Rolling Stones e Bruce Springsteen, sono tra i più cari nell’acquisto dei diritti.
Il cortometraggio lo si fa per esempio come biglietto da visita da presentare ad alcuni festival: in tutti i festival vogliono un appoggio che dichiari la possibilità di utilizzare quella determinata musica, e quindi di averne i diritti. Per cui anche questa è una cosa che deve essere organizzata da parte di chi vuole fare un cortometraggio. Un altro aspetto di cui parleremo sarà quello organizzativo. Per fare un esempio ci sono orari da scegliere per girare. Uno non può girare 12 ore al giorno. Ci sono molti aspetti che bisogna considerare, alcuni più complessi e altri molto banali. Ad esempio una cosa a cui spesso non si pensa è… portare l’acqua. Serve attenzione verso le cose, da quelle molto semplici fino ad arrivare a cose più complesse come i diritti d’autore.
Appare chiaro come questa professione sia spesso vista solamente come artistica ma ha una forte componente tecnica, e non solo nelle modalità con cui si tiene in mano la macchina da presa ma anche di tecnica gestionale.
Certo! Nel cinema così come in televisione, in questo tipo di lavoro, che tu sia regista o runner (il factotum, ndr), c’è una grande componente di lavoro di tipo tecnico. Se da regista decidi una scena in una location e poi un’altra scena in una location diversa ma nella stessa giornata devi tenere conto degli spostamenti e del cambio di luce. Potrebbe allora essere conveniente fare due scene distanti nella trama del film ma che si svolgono nello stesso luogo o in luoghi vicini. Ci sono mezzi pensati da spostare, c’è la troupe, non ci sono solo gli attori. Ci sono molte problematiche cha vanno previste e ottimizzate perché più tempo si perde meno se ne ha per le inquadrature. La componente artistica e quella tecnica vanno in parallelo.
Spesso vediamo scene conseguenti girate in posti che, se si conoscono, non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro.
Avviene spesso per motivi artistici, ma non solo. Le faccio come esempio una sequenza da uno dei film più belli della storia del cinema, C’era una volta in America. Robert De Niro va a trovare Debora fuori dal teatro, la porta a cena fuori, chiacchierano sulla spiaggia e poi finisce con la violenza in macchina. Ecco quella scena, che dura 12 minuti, è stata girata in Canada, a Venezia, una parte a Cinecittà e una parte nel New Jersey. Quattro location, due continenti e mesi di distanza tra le diverse parti di cui è composta la stessa scena. La scelta fu artistica per alcune componenti, ma anche tecnica. L’Hotel Excelsior a Venezia fu scelto per la sua bellezza, Toronto invece fu scelta per la parte in cui De Niro va a prendere Debora fuori da teatro, e fu una scelta economica e artistica. Costava meno girare la scena a Toronto rispetto a New York e gli edifici assomigliavano maggiormente a quelli degli anni in cui è ambientato il film. La scena della violenza è stata invece girata a Cinecittà, in studio, per garantire un ambiente più raccolto data la delicatezza della scena, ma anche perché girarla a Cinecittà costava meno che girarla in America. Nell’ultima parte invece, quella in cui De Niro scende dalla macchina e va via è stata girata New Jersey invece che a Long Beach. I motivi assomigliano a quelli della scelta di Toronto, girare in New Jersey costava meno e le case si confacevano maggiormente all’ambientazione del film. C’è sempre quindi una commistione tra scelte artistiche e scelte di ottimizzazione finanziaria, che è una componente importante del fare un film. Un film è arte ma anche business, ce lo dobbiamo ricordare. E questo non toglie niente alla grandiosità dell’opera.
Chiudiamo con il suo libro Fantozzi dietro le quinte, da poco uscito in libreria e in cui racconta suo padre attraverso la sua esperienza diretta e quella di altri…
Per prima cosa lo racconto dal mio punto di vista di bambina e poi di adolescente. Racconto di come ho visto mio padre passare dall’essere una persona normale a diventare famoso, prima con la televisione poi con il cinema. Infine ho inserito una serie di interviste con persone che hanno lavorato con lui, attori, registi, produttori anche con chi lo conosceva bene come mia madre, mio fratello e mio figlio.