Con Moana in prima fila e Sig. Giovanni poco lontano,
convivono allegri in Porta San Pietro
l’amore sacro e l’amor profano.
Se avete indovinato la fonte d’ispirazione della quasi citazione qui sopra non posso che congratularmi per i vostri gusti musicali, ricordando il grande Faber a vent’anni dalla sua scomparsa. Ma, se avete capito quale soglia abbiamo varcato per voi, mi sento di dire che probabilmente siete curiosi quanto noi (e un po’ già sorridete maliziosi).
Mi ricordo che, arrivata a Ferrara, mi parlarono tanto delle chiese di questa città, del loro essere così numerose e dislocate ovunque… e di come, alcune, ormai sconsacrate, fossero state riciclate a dovere.
“Non si butta via niente”, direte voi.
Ma Ferrara, in quanto a riciclo creativo, onestamente, merita un podio a parte.
Ho ormai perso il conto delle volte in cui ho percorso Porta San Pietro in bicicletta e ho rallentato tatticamente per sbirciare oltre quelle porte sempre semichiuse, oltre quel mezzo metro che separa due realtà. Finalmente ho trovato coraggio, modo e compagnia. Oggi entro. Scendo, mi guardo intorno furtiva ma non scorgo anima viva né tantomeno iscrizioni che narrino di perduta gente. Parcheggio la mia graziellina, sistemo il vestito e mi avvio. La porta si apre con facilità e vengo accolta da un suono che scoprirò essere quello che, più volte al giorno, per trecentosessantacinque giorni l’anno, accompagna gli habitués e gli avventori del luogo nei loro pomeriggi di rilassamento dinamico.
“Buonasera, ragazzi.”
Andrea ed io ci guardiamo, sicuramente rossi in viso, e cerchiamo di dissimulare quell’imbarazzo iniziale che ci pervade nel pensare che siamo appena entrati in un vecchio cinema a luci rosse che occupa gli antichi locali di una delle prime basiliche di Ferrara, sorta all’interno del castrum bizantino. Ripenso ai due santi, Pietro e Paolo, le cui immagini sono state ospitate sotto quel tetto per così tanto tempo e che adesso soggiornano all’ingresso della nostra bella cattedrale. Il secondo ha un’espressione buffa, quasi come se avesse previsto il futuro della sua chiesetta.
Al posto loro, da una trentina d’anni, sulle pareti del Cinema MIGNON, campeggiano decine di locandine di film erotici e pornografici degli anni settanta e ottanta e qualche new entry, meno cotonata, del nuovo millennio.
Il Signor Beppe, un uomo sulla settantina, è seduto dietro la cassa, a lato dell’entrata della sala dalla quale, seppur smussati dal velluto delle tende, arrivano a noi soavi gemiti e chiacchiere.
– Immagino siate piuttosto curiosi…
– E chi non lo sarebbe…
– Allora lasciatemi dire che noi non siamo stati i primi inquilini. Né a noi si deve il cambiamento da chiesa sconsacrata a cinema. Tutto lo stabile fu rimesso in sesto, dopo la soppressione in periodo napoleonico ed i successivi anni di abbandono, nel secondo dopoguerra, poi adibito a sala cinematografica per gli amanti del genere western e ancor dopo, una quarantina di anni fa, si scelse di cambiare. All’inizio, verso la fine degli anni ’80, c’erano tanti avventori, ora meno, ma più giovani. E sicuramente, c’è un profondo divario entro la percentuale del pubblico maschile e di quello femminile. Anche se voi donne, in realtà, non pagate l’ingresso!”
Mi verrebbe da chiedere se c’è anche l‘open bar. Ma taccio. Meglio non svegliar can che dorme. Con sorpresa, mentre il cassiere sta per riprendere la parola, da dietro le tende sbuca un cliente, Niccolò T.
Credo l’abbiate intuito, questo in realtà è molto più di un tempio oltremodo atipico, di un paradosso, di un vecchio cinema a luci rosse. Non si tratta solo della programmazione, dei film, del godere di certi spettacoli. Si potrebbe definire come un luogo di ritrovo. Quotidianamente, quel campanello suonerà sì e no un centinaio di volte. Ci si conosce tutti, qui. Non è solamente una sala buia dove trascorrere del tempo in piacevoli trastulli. Si potrebbe considerare anche una sorta di rifugio contro la solitudine, la tristezza, la monotonia del lento scorrere del tempo. C’è chi è in cerca di evasione, chi di emozione, chi di contatto, chi di libertà. E chi, di sé stesso.
È capitato spesso durante gli anni di intravedere, nella luce riflessa dei movimenti vorticosi degli attori, qualche persona che decideva di rivelare i propri orientamenti solo all’interno di queste mura. In questo caso non si può parlare di trasgressione, quanto di possibilità di scoprirsi e viversi a pieno. Suona un po’ estremo, oggi le cose paiono cambiate ma c’è ancora chi preferisce celarsi nel buio pesto, tra i cigolii e gli abbracci delle nostre poltrone.”
Mi avvicino alle tende, le apro. Sullo schermo, enorme, vedo donne giunoniche, con corpi tonicissimi stretti in intrecci sinuosi e uomini dagli sguardi languidi e baffi alla Magnum PI. Dopo qualche secondo, noto, al lato del monitor, un luccichio. Pizze, una marea di pizze.
Quali sono i criteri della programmazione?
“Dipende”, mi risponde Beppe.
“Selezioniamo il film in base al gradimento dei clienti ma abbiamo una vasta gamma di pellicole tra le quali scegliere. Se vuoi dare uno sguardo, faccio uno squillo al mio collega di sopra, così vi apre la sala proiezione.”
Chevelodicoafare. In meno di tre minuti, io con la mia agenda ed Andrea con la sua fedele macchina fotografica, ci inoltriamo verso un dedalo di scale ornate da innumerevoli pizze dai titoli eclatanti. “Moana in casa Addams” dovrebbe rendere l’idea.
Mentre continuiamo a salire, cerco di quantificare il numero di pellicole adagiate sul nostro cammino.
“Sono un più di un centinaio, le altre sono sparse qui e lì tra le sale del cinema e il resto è su, vicino alle macchine.”
La voce fuoricampo appartiene ad un signore sorridente sulla sessantina, Benvenuto TdG. “Lavoro qui in sala proiezione da circa un annetto. Venite su, che vi faccio conoscere le Signore!”
Superato l’ultimo gradino, arriviamo in una sala dalle tonalità verdi, che ricordano quelle dell’ingresso. Eccole lì le Signore, due Zenit x4000 degli anni ’50 che riposano serene godendosi la meritata pausa dopo un turno sfinente e lasciando lo sporco lavoro ad un lettore DVD che proietta la biblica storia di Franco ed Eva nel Giardino dell’Eden.
Sugli scaffali, non lontano da un santino che stona non poco col contesto, ecco che vedo dotti rimandi alla casata estense “Alle Dame del Castello piace fare solo quello” e alla storia di nobili parigini “Les adventures du Marquis de Sade” o alla geografia moderna “7 ani in Tibet” ma anche alla musica, tra nomi di band note “Nirvanal” o grandi pezzi eighties come “Porn to be alive”. Direi che sto scoprendo un universo assolutamente affascinante.
“All’inizio è stato strano, lavorare qui. Poi, visto uno, due, tre, dieci, visti tutti. Certo, ci sono i vari generi e quello un po’ cambia la solfa, ma, alla fine, è sempre la stessa storia. Possiamo dire che non sia molto complicato indovinare i finali… Sai, i film a luci rosse in realtà sono cambiati parecchio. Negli anni ’70 – ’80 si tendeva a tessere una trama, a caratterizzare i personaggi navigando anche sull’onda dei grandi successi di Hollywood. Ora, con l’avvento delle nuove tecnologie e di internet, la pornografia è diventata diversa, scontata, si va subito al sodo senza condimenti. C’è un po’ meno fantasia, forse.”
Avete dei clienti particolarmente interessati ad un genere?
“Qualcuno viene solo quando programmiamo film a tematica omosessuale o trans, altri hanno i loro attori o attrici preferiti, e uno in particolare si lamenta perché dice che ormai li ha visti tutti. Credo però che lui ormai si possa considerare parte della tappezzeria del Mignon!”
Ma quando siete fuori… e poi capita di varcare la soglia dello stargate e ritrovarsi in questo mondo, come reagite?
“Più di una volta mi son sentito dire: Hey, ma tu che ci fai qui? Poi ecco, io ci lavoro, ma per gli altri c’è sempre un minimo di imbarazzo. La questione della privacy è importante e cerchiamo sempre di garantirla a tutti i nostri clienti.”
Salutato Benvenuto, intento a provvedere alla rotazione delle pellicole in sala, ritorniamo verso la hall dove ci attende un pittoresco gruppo di avventori, incuriositi da quei due atipici voyeur che stanno ponendo domande qui e là. Qualcuno di loro ci invita ad entrare ed accomodarci per godere dello spettacolo, altri scherzano, raccontandoci qualche episodio divertente, ricordando quando uno spettatore birichino era stato colto in fallo dalla consorte o quando due pie suorine, straniere ed ignare, erano entrate nell’ex chiesetta pensando innocentemente di poter assistere ad una funzione.
Al solo pensiero, ridiamo tutti quanti: Beppe, dietro il suo bancone tappezzato di manifesti, foglietti di vario genere ed un’immancabile settimana enigmistica, Niccolò T., appoggiato alla parete, con la sua sigaretta in mano, Carlo B. e Paolo G., avventori dall’accento partenopeo e noi, ormai completamente disinvolti e sereni, all’interno di quelle mura sacre e profane, così colme di sentimenti contrastanti. La campanella suona dietro di noi, ci sorprende quasi un po’. Nuovi clienti arrivano per lo spettacolo delle 20. Scende la sera ed è tempo di far brillare le luci. Gli habitués ci salutano e ci invitano a tornare presto, che qui, le porte, per chi lo desidera, sono sempre aperte.
NdA – Si ringraziano Benvenuto Tisi , Niccolò III e gentili messeri per aver prestato la loro identità per celare quella dei misteriosi avventori. Se invece vi state chiedendo come mai nelle foto sono vestiti tutti molto leggeri e ci sono ventilatori accesi, il servizio è stato realizzato lo scorso agosto con temperature ben diverse da adesso!