

La Palazzina Marfisa torna a splendere: sabato 6 settembre ha riaperto le porte al pubblico con un allestimento nuovo e moderno, che ne valorizza molto bene le peculiarità tipiche di una residenza signorile rinascimentale. Un percorso di visita moderno, accessibile, con contenuti inediti e infografiche che aiutano il visitatore a ripercorrere le tappe di un luogo rimasto sempre un po’ indietro rispetto alle tante bellezze artistiche che offre il capoluogo estense.
Ma era chiusa?
Da alcuni anni avevamo in effetti un po’ perso i contatti con la palazzina, da sempre comunque ben segnalata sulle cartine turistiche distribuite a chi fa visita a Ferrara. La sua posizione appena fuori dal centro storico e un percorso di visita interno poco valorizzato l’hanno spesso penalizzata, lasciandola quasi in ombra rispetto il vicino Palazzo Bonacossi o semplice cornice di sfondo allo storico Tennis Club Marfisa.
La Palazzina era in effetti chiusa da gennaio 2023, per importanti interventi di consolidamento strutturale e di adeguamento degli impianti post sisma, e oggi si presenta con una nuova veste museale che le rende finalmente giustizia. Dunque se è da un po’ che non ci facevate un salto – perché spesso dimentichiamo di fare i turisti a casa nostra – considerate questo restauro come un vero e proprio reset: abbiamo una palazzina tutta nuova, proprio come successe nel 1938.

Cosa successe nel 1938?
Costruita tra il 1556 e il 1560 da Francesco d’Este e legata indissolubilmente alla figura della figlia Marfisa, questa dimora storica ebbe alterne vicende ed usi impropri: venne infine restaurata tra il 1910 e il 1915 ma è nel 1938 che diventò sede museale, grazie al lavoro del critico d’arte e museografo Nino Barbantini. Il suo intento era di farne uno spazio di rappresentanza per la città che evocasse al contempo una dimora rinascimentale, così comprò sul mercato antiquario numerosi arredi, oggetti e opere cinque, sei e settecentesche. Questo allestimento scenografico, economicamente sostenuto dall’allora Cassa di Risparmio di Ferrara proprietaria degli arredi, ha perso tuttavia nel corso dei decenni la sua originaria fisionomia. Ad esempio l’arazzo seicentesco raffigurante Giuditta che decapita Oloferne venne rimosso dalla Palazzina già nel primo dopoguerra ed esposto a Palazzo Municipale, e numerosi oggetti originariamente posizionati sugli arredi, vennero successivamente collocati in vetrine, per ragioni conservative e di sicurezza.
Un nuovo inizio
Quello che salta subito agli occhi ad una prima visita è la luce: la Palazzina è stata valorizzata da un nuovo sistema di illuminazione, progettato per esaltare le preziose decorazioni interne. Discreta e ben inserita nel contesto espositivo, consente di ammirare come mai prima d’ora i celebri soffitti a grottesche, rivelandone dettagli e particolari finora rimasti in ombra. Il nuovo percorso di visita, realizzato nel rispetto delle stratificazioni dell’edificio e delle trasformazioni novecentesche, ha avuto l’obiettivo di rendere la visita al monumento agevole e inclusiva, con rampe di accesso che eliminano i dislivelli dell’abitazione in modo elegante. Unico piccolo neo di un allestimento riuscito forse sono proprio quest’ultime, i visitatori più distratti o assorti a contemplare i soffitti decorati potrebbero rischiare l’inciampo in alcuni punti del pavimento…
Non mancano poi un corposo apparato testuale in ogni stanza, volto a favorire una comprensione immediata della storia del luogo, alcuni contenuti multimediali su enormi touchscreen, riproduzioni tridimensionali in rilievo per i non vedenti, video d’epoca dell’Istituto Luce e infografiche che ripercorrono la storia di questo luogo anche e soprattutto nei suoi anni più bui, tra Seicento e Ottocento. Anche gli arredi barbantiani sono stati ricollocati ma meglio si sposano con l’ambiente circostante, in dialogo con strutture di un colore leggero e luminoso, una tinta champagne che accompagna e dona eleganza ad ogni stanza.
Il nuovo percorso espositivo si arricchisce poi ulteriormente di medaglie, monete e ceramiche provenienti dalle collezioni civiche e dalle raccolte della Fondazione Estense. Consentendo così di delineare con maggiore chiarezza la storia della dimora rinascimentale, dei suoi utilizzi e delle sue trasformazioni, come pure quelle dei suoi protagonisti: Francesco d’Este, figlio di Alfonso I e Lucrezia Borgia e fondatore della dimora; Marfisa, sua figlia e figura chiave della vita culturale ferrarese tra Cinque e Seicento, e infine Nino Barbantini, a cui si deve il recupero della Palazzina negli anni Trenta.
Curiosi di fare un giro più approfondito? Ecco sala per sala alcune curiosità e immagini dell’allestimento.

Sala delle Imprese
Un omaggio al marchese Francesco d’Este, figlio di Alfonso I e Lucrezia Borgia. Le sue “imprese”, allegorie che intrecciano immagini e motti, celebrano le virtù del principe: tra templi dedicati a Virtù e Onore e il motto Pari Animo, spicca la volontà di un sovrano forte e costante. Gli affreschi, opera di Bastianino, si intrecciano con restauri novecenteschi. Monete e medaglie celebrative, insieme a mobili rinascimentali, completano un ambiente che racconta il prestigio politico e militare del marchese.

Loggetta dei Ritratti
Un passaggio tra giardino e interni, la Loggetta custodisce la memoria di Marfisa e della sorella Bradamante, ritratte da bambine in affreschi riscoperti nel 1915. Le tre Ore – Tallo, Auso e Carpo – decorano la volta insieme a figure propiziatorie, mentre la storia familiare di Marfisa emerge nei suoi matrimoni e nel ruolo centrale che ebbe nella vita culturale ferrarese, scelta di cuore che la trattenne a Ferrara anche dopo la devoluzione del ducato. Il legame tra Marfisa e la cultura è profondo: cresciuta tra convento e residenze paterne, si distinse per intelligenza e fascino. Promotrice di spettacoli teatrali e “favole pastorali”, strinse rapporti con Torquato Tasso e Margherita Gonzaga, inventando anche i celebri “balletti delle dame”. La sua dimora era dunque un vero salotto cosmopolita, rifugio di artisti e poeti che celebravano la nobildonna con versi e dediche.

Sala di Fetonte
Dopo la morte di Marfisa, la Palazzina conosce decadenza e incendi. Barbantini, nel Novecento, sceglie di non ripristinare la decorazione perduta tra le fiamme, trasformandola in un luogo di respiro all’interno del percorso museale. Sulla volta, una copia del Carro del Sole di Palazzo Te evoca miti ferraresi, mentre pavimenti veneziani e piastrelle ornamentali raccontano la ricchezza degli interni nobiliari.

Sala dei Banchetti
Un tempo officina di fabbro, la sala fu restaurata dal pittore Augusto Pagliarini nel 1938, restituendo splendore a un soffitto ricco di allegorie e scene mitologiche da Ovidio. Barbantini la allestì come la più opulenta delle stanze, con grandi cornici lignee, lunghi tavoli settecenteschi e tele ispirate a Rubens. Le due opere collocate alle spalle dei tavoli costituiscono in realtà le due metà di un’unica composizione che Barbantini scelse di suddividere, per favorire la simmetria dell’allestimento e l’armonia dell’insieme. Uno spazio pensato dunque per evocare la convivialità dei banchetti rinascimentali.

Studiolo
Piccola e raccolta, questa stanza diventò nel 1938 lo studiolo rinascimentale immaginato da Barbantini. Rivestita di broccatello rosso e con soffitto ligneo dorato, ospita arredi adattati e un ritratto femminile trasformato in simbolo delle dame estensi. Tra i pezzi spicca una rara mandola settecentesca, che ricorda atmosfere intime e musicali amate da Marfisa.

Sala Grande
Atrio centrale della Palazzina, collegava l’ingresso monumentale al giardino. Il suo soffitto a grottesche, attribuito a Bastianino, è un intreccio di putti, arpie e animali fantastici. Barbantini la arreda sobriamente, esponendo mobili da sagrestia e sedute seicentesche. Oggi trovano posto qui numerose ceramiche del Cinquecento che raccontano la vita quotidiana: dalle forme funzionali ai raffinati smalti da tavola, testimonianza di una Ferrara elegante e colta.

Sala del Camino
L’ultima sala è quella con il soffitto più raffinato della Palazzina, con allegorie e imprese di Francesco d’Este. Il monumentale camino cinquecentesco, attribuito alla bottega dei Lombardi, domina la stanza, attorno alla quale Barbantini colloca oggetti d’arte eterogenei: bronzetti, vasi, bacili, un busto femminile di Antonio Lombardo e una Venere marina di Tiziano Aspetti. Un ambiente che evoca la ricchezza di una dimora nobiliare ferrarese, tra autenticità e suggestione collezionistica.
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Alla riapertura del museo seguirà un ricco programma di iniziative speciali: da giovedì 11 settembre 2025 prenderà infatti avvio un ciclo di otto incontri, organizzati in collaborazione con l’associazione Ferrariae Decus, i cui temi spazieranno dal rapporto di Marfisa con la musica alle decorazioni cinquecentesche della Palazzina, dalla ceramica ferrarese all’allestimento di Nino Barbantini, dai ritratti di Marfisa al suo rapporto con Torquato Tasso, attraverso le voci di restauratori, docenti universitari e ricercatori.
Oltre alle conferenze, sono previste anche speciali visite guidate a cura dei conservatori dei Musei di Arte Antica: Francesca Acqui, archeologa, e Romeo Pio Cristofori, storico dell’arte. Ingresso su prenotazione venerdì 19 e 26 settembre, 10 e 31 ottobre, alle 17:30.


Nasce a Ferrara nel 1983, dove vive in una casa bianca con una ragazza mora e due bimbe bionde. Giornalista pubblicista, dal 2006 si occupa di graphic design e comunicazione per il web, cofondatore di Contrarock, è stato vicepresidente di Factory Grisù. Ha fondato e diretto il magazine Listone Mag e il blog Ciccsoft. Ha un cane Lego di nome Cagnazz e un pianoforte in salotto per suonare, ogni tanto. Ama il minimalismo, la tipografia, il bianco e nero, New York, le foto storte, l’odore di terra bagnata, il tepore dentro la macchina in autunno.