

«Tipo personalissimo (…), Sebastio: uomo padano, dal progresso che lento alza i livelli; ma fantasiosamente travolto, nell’intimo, da una volontà spirituale di larga base, poi lentamente e duramente conquistandone il dominio, in quella forma di pensiero concreto che è la scultura: e come permane, sulla pianura, scura e pesante, quella tipica scultura della resistenza d’altri tempi che è l’arte romanica, anche lui sente l’appello popolare e religioso di quell’arte parlargli dentro, commisto tuttavia, anche concorde col fascino mai dimenticato d’altre e più antiche civiltà, e delle loro arti imbevute di concordanze cosmiche, di ritmiche astrazioni, così ben rispondenti alle sue mai sopite attrazioni per l’Assoluto».
Così il poeta Carlo Betocchi descriveva l’amico scultore Nicola Sebastio1, di cui il 5 settembre ricorrono i 20 anni dalla morte. Nato a Bologna, ma vissuto perlopiù a Milano, Sebastio in gioventù abitò anche a Codigoro e Lagosanto. Non una fase di passaggio, questa ferrarese, ma talmente importante da lasciare un segno profondo nella sua vita e nella sua arte.

NEL FERRARESE
Sebastio nasce nel 1914 da Carlo, medico condotto di origini tarantine, e da Elena Zani, modista di origini svizzere2. Ha un fratello più piccolo, Cataldo. La famiglia va a vivere prima a Codigoro (in via XX settembre, 18) – dove Nicola a 18 anni esegue i suoi primi ritratti di gente del luogo – poi nel ‘24 si trasferisce a Lagosanto. Nel ‘32 si diploma al Liceo Artistico di Bologna, allievo di Giorgio Morandi, e nel ‘36 in scultura all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Torna poi a Lagosanto, dove mantiene stretti rapporti con i suoi amici Rino Guidi e don Guido Cinti3. Qui, nella chiesa di Santa Maria della Neve esegue, negli anni, diversi lavori, fra cui la lunetta esterna, dove nel ‘38 colloca un cotto raffigurante la Madonna (per la quale posa la madre Elena) che regge il piccolo Gesù, Sant’Appiano Monaco (per il quale posa il becchino del paese) e San Venanzio di Camerino. Fra le sue mostre, la prima è del ‘39 quando espone in un’importante collettiva, la Mostra Sindacale d’arte nel Castello di Ferrara, poi nel ’42 partecipa alla mostra nazionale di G.U.F. nella Casa della Gioventù in c.so Giovecca, e l’anno successivo a un’altra collettiva di ferraresi a Palazzo dei Diamanti. Nel ‘40 (anno in cui parte per la guerra e viene fatto prigioniero in un campo di concentramento inglese in Egitto4), invece, insieme a don Cinti progetta la Madonna di Lourdes, con Santa Bernadette, per la facciata della Casa della Gioventù a Comacchio. Nel ’53 realizza un busto in marmo raffigurante Pio XII per il Seminario di Comacchio5, mentre nel ‘58 dà vita alle 14 stazioni della Via Crucis e negli anni ‘60 sperimenta – fra l’altro – la tecnica del mosaico raffigurando nell’abside il Cristo Pantocratore. Nel ‘66 muore il padre e Nicola ne disegna e modella la tomba monumentale. Nonostante vivrà stabilmente a Milano, tornerà spesso a Lagosanto, Comacchio e Porto Garibaldi, per dar vita a diverse altre opere6. Nel 2000 il Palazzo Arcivescovile di Ferrara ospita la sua personale La Croce e la speranza, organizzata dal Centro Culturale L’Umana Avventura e già esposta nel 1980 alla I^ edizione del Meeting di Rimini. Nel 2004, invece, Giglio Zarattini, mons. Samaritani e Laura Ruffoni curano a Palazzo Bellini a Comacchio una sua mostra sul tema del Crocefisso. Nel 2005, dopo la sua morte (avvenuta pochi mesi dopo quella della moglie Maria Mazzoleni), nasce l’Associazione Amici di Nicola Sebastio. Nel 2012 a Palazzo Bellini viene riservato uno spazio esclusivo per le sue opere, alcune di esse ora sparse in diverse sale dell’edificio. Nel 2014 gli vengono dedicate due mostre, una a Pomposa, l’altra a Comacchio7.

DA KOKOSCHKA AL DUOMO DI MILANO
Nel ‘53 il noto artista Oskar Kokoschka fonda a Salisburgo l’Accademia Estiva di Belle: Sebastio ci si iscrive nel ’56 seguendo un corso di scultura tenuto da Giacomo Manzù. Compie poi diversi viaggi con l’UCAI (Unione Cattolica Artisti Italiani) e nel 1970 riceve il prestigioso premio Madonnina d’oro, vinto quell’anno anche da Ungaretti. A Milano insegna alla Scuola d’Arte Liturgica Beato Angelico e ai Licei S. Carlo e Gonzaga. Fra fine anni ’40 e fine anni ’60 a Milano realizza diverse opere, fra cui nel ‘53 la statua di San Giovanni Battista De La Salle, posta sopra la prima guglia della facciata del Duomo (per cui realizza anche un tabernacolo portatile) e altre per la chiesa di Dio Padre. Nel 1950, sempre nella città meneghina viene bandito il concorso per la quinta porta del Duomo, l’ultima verso sud, che doveva raccontare le vicende della fabbrica; vi partecipa anche Sebastio, che nel Duomo aveva collocato anche una sua statua raffigurante il monaco Lazzaro e che si trova nella facciata nord, di fronte a La Rinascente. Nel ‘58 alla Pro Civitate Christiana di Assisi viene premiato alla collettiva sul tema Gesù Divino Lavoratore. Nel ’65 per la chiesa Sant’Anna di Bologna crea il fonte battesimale progettato insieme al card. Lercaro e nel ’97-’98 per la chiesa dei Santi Cirillo e Metodio una scultura del Cristo Risorto, tabernacolo e immagini dei Santi a cui è intitolata la chiesa.



NELLA TOMBA IN EGITTO
Ma in gioventù fondamentale sarà per lui l’esperienza sopra accennata in Egitto, prigioniero degli inglesi, periodo nel quale riesce a tenere uno scambio epistolare con la madre e dove, nonostante la situazione, trascorre – dirà lui stesso – uno dei periodi migliori della sua vita passando il tempo creando sculture con le latte dei barattoli di conserva. La prigionia artistica durò fino al 6 giugno 1946, gli ultimi mesi gli trascorse in Palestina. Così lui stesso raccontò con grande commozione8: «Mi è rimasto dentro il giorno di Pasqua del 1945. Io tenevo contatti con un mio soldato che era collaboratore degli inglesi in un campo nel quale c’erano i prigionieri russi, quelli che avevano appoggiato Hitler. Li trattavano molto bene e avevano dato loro anche dischi di musica. II soldato mi informò che là c’erano dei registratori, dei grammofoni piccoli e che i russi avevano scartato i dischi di musica sinfonica. Dico: “domanda all’ufficiale, digli che c’è un tuo ufficiale che si interessa”…E difatti mi portò il disco dell’Aria sulla quarta corda di Bach. E il giorno di Pasqua del 1945 ero da solo nella tomba dell’architetto Ti. L’ho messo su, il disco ha incominciato a girare… Ho vissuto attimi di eternità. Erano contemporanei in quel momento gli egizi che avevano raffigurato quelle immagini, era contemporanea tutta l’umanità prima degli egizi sino all’inizio della creazione, erano contemporanei tutti i miei conoscenti, i miei cari, i miei genitori, gli amici, e anche i defunti, e tutta l’umanità che sarebbe venuta sino al ritorno di Cristo. In un attimo era presente tutto! Questa è stata la sensazione, e me la porto ancora dentro».
QUELL’ETERNITÀ IN OGNI OPERA
Figura, allora, sempre più rara quella di Sebastio, artista di arte sacra e liturgica in un mondo sempre più secolarizzato, in cui il senso del Divino inizia drammaticamente a scomparire. Sebastio non cede alla disperazione di chi vede morire un mondo, ma sa – da cristiano – che la fine è sempre un nuovo inizio, per chi sa coglierne i germogli. Innanzitutto, però, vediamo che idea aveva dell’artista: «La Trasfigurazione di Nostro Signore Gesù Cristo si può paragonare alla trasfigurazione che la natura subisce per mezzo dell’arte», disse. «Gli artisti vedono oltre l’apparenza delle cose; essi ce ne rivelano il mistero primo. (…) L’artista ha in sé qualcosa del sacerdote, del santo. Il santo vive e sperimenta il mistero, l’artista lo fa vedere (…). Quella dell’artista è una missione non più grande di quella del sacerdote, ma forse più difficile e incompresa. Oggi l’artista, dopo aver rotto i legami con il passato, deve cominciare dal nulla. Non vi è quasi nessuna tradizione che lo sostenga; ma, se ciò da una parte è penoso, è, dall’altra parte, la liberazione da un grande peso»9.
Da qui, un’idea forse anticonformista, di certo non frutto di un vago “ottimismo” ma di una speranza vera: «Nonostante l’idea contraria di molti critici, negli artisti contemporanei non si può negare un desiderio di Dio, una ricerca di Dio in Cristo (…). È la forma per la forma, l’idolatria della materia (che orientata però a Cristo ridarebbe contenuto e valore a tutti gli esperimenti materiali), l’estetismo che porta alla non-arte, alla negazione dell’eternità (vedi l’arte cinetica…) che invece è radicato in ogni opera d’arte». In modo un po’ spiazzante, in un’intervista a inizio anni ’80 disse che «l’opera di carattere più religioso» ai suoi tempi era «il grande quadro di Guttuso con il funerale di Togliatti»10 (opera del ‘72). Ma già nel ’69 affermava: «Il dramma del nostro tempo è che le opere moderne di più alto livello artistico, di più alto spirito contemplativo, non sono più nelle chiese, nei conventi, non sono più quelle a soggetto religioso, come avveniva nel Medioevo, quando spesso arte e santità si fondevano»11.

Sta però a ognuno – dentro o fuori una chiesa – di ritrovare quel raccoglimento interiore necessario per poter davvero ammirare la Bellezza: «L’arte – proseguiva Sebastio – la si capisce sostando, contemplando, non correndo per le sale di un museo come fanno molti turisti; l’arte la si capisce, la si penetra restando in contemplazione il più a lungo possibile, rivedendo, rileggendo, riascoltando». È come la contemplazione della persona che si ama: «Quando si ama, non ci si stanca mai di guardare, ammirare la persona amata, magari ripetendo sempre le stesse parole»12.
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Grazie per l’aiuto a don Andrea Zerbini (CEDOC S. Francesca Romana), Fosco Bertani (artista amico e allievo di Sebastio), Maria Rosa Sabattini (Comune di Comacchio) e P. Agostino Ziino (Comunità dei figli di Dio).
Note
[1] In Civiltà. Il Ferrarese, anno 1, n. 5, ottobre 1974.[2] «La [mia] mamma era una bravissima sarta – raccontò -, devo a lei se sono riuscito a intraprendere la carriera artistica suscitata in me dall’Abbazia di Pomposa (dalla finestra della mia stanza vedevo in lontananza il Campanile) e dalla bella cittadina di Comacchio» (Da Arte e fede: intervista a Nicola Sebastio, a cura di Margherita Giuffrida Ientile, 1980: si tratta di un’intervista che gli fece la Comunità dei figli di Dio, fondata da don Divo Barsotti, a cui Sebastio era molto legato).
[3] Don Cinti «che con Sebastio – scriveva mons. Antonio Samaritani – ebbe una affinità artistica, umana e spirituale» (in Nicola Sebastio. Un uomo, un impegno: l’arte del sacro, supplemento di Anecdota, Quaderni della Biblioteca L.A. Muratori del Comune di Comacchio, 2004).
[4] «Nel frattempo aveva fatto dal ‘36 al ’38 il servizio militare con le modalità dell’epoca e con i privilegi di cui poteva godere un giovane fascista. Perché Nicola fu un fascista entusiasta, partecipò ai campeggi, ricevette la formazione premilitare, amava indossare una sorta di divisa militare, illustrò efficacemente, con spirito al tempo stesso fascista e cristiano, La canzone del sangue di Gabriele D’Annunzio» (cit. in M. Dolz, Nicola Sebastio scultore, Medusa ed., 2014).
[5] Scriverà a tal proposito il vescovo mons. Mosconi: «Volere esprimere riconoscenza è difficile. Sono proprio commosso dinanzi a tanto valore e tanta bontà. E dell’opera – severa come tutte le opere del prof. Sebastio – entusiasta. E sarò tanto lieto quando verrà. Benedetto il Suo cuore; e la sua arte glorifichi sempre il Signore!» (in M. Dolz, Nicola Sebastio scultore, cit.).
[6] Si veda al riguardo l’ottimo libro di Lucio Scardino, Nicola Sebastio nel Ferrarese, Liberty house ed., 2015.
[7] Nicola Sebastio. La bellezza della vita: storie d’arte e d’amicizia è quella a Palazzo Bellini, Comacchio; mostra promossa da Comune di Comacchio, Centro Culturale L’Umana Avventura e a cura di Assessorato alle Istituzioni Culturali di Comacchio, Fondazione Enrico Zanotti, Associazione Antonì Gaudi, Associazione Genitori Luigi e Zelia Martin; dal testo introduttivo del Vescovo mons. Luigi Negri presente nel catalogo: «Nicola Sebastio era un uomo che lodava Dio facendo arte e che, facendo arte, amava la vita del popolo cristiano, in funzione del quale la sua arte riceveva la sua giustificazione ultima e il suo movimento intellettuale e morale».
[8] In M. Dolz, Nicola Sebastio scultore, cit.
[9] Da Arte e contemplazione, relazione di Nicola Sebastio, Adunanza della Comunità dei figli di Dio, Firenze, 2 febbraio 1969.
[10] Da Arte e fede: intervista a Nicola Sebastio, cit.
[11] Da Arte e contemplazione, relazione di Nicola Sebastio, cit. E Carlo Bassi diede questa lettura al riguardo: «Sebastio dopo aver fatto la guerra, quella vera (…) era sceso in quella trincea ideale con tutta la passione e la carica anche sentimentale, che gli consentivano di guardare il mondo dell’arte “di fuori” con la fiducia che un giorno, la cosiddetta “arte sacra” sarebbe tornata ad essere la “grande arte” tout court. Questo fu il percorso ed il suo impegno nella sua vita d’artista, perseguito con estrema coerenza e con la convinzione ferma che quella era la strada per il grande ritorno, per il grande sogno che si era trovato a condividere con papa Montini, il grande Paolo VI» (C. Bassi, Sebastio, un maestro nel rendere arte il sacro, La Nuova Ferrara, 7 febbraio 2016).
[12] Da Arte e contemplazione, relazione di Nicola Sebastio, cit.

Nato nel 1983, vivo a Ferrara e dal 2012 lavoro come giornalista. Dal 2015 scrivo per “La Voce di Ferrara-Comacchio”, da alcuni anni per “Avvenire” e in passato per “La Nuova Ferrara” e “Listone Mag”.
«L’unica cosa che conta è l’inquietudine divina delle anime inappagate».
(Emmanuel Mounier)