Di chi è una città? Chi possiede un quartiere? Non è una domanda retorica: in questi anni c’è stato un enorme scollamento tra politica e cittadinanza, una forbice che si è andata allargandosi a livello nazionale. Eppure in una città piccola come Ferrara esiste e resiste un legame di appartenenza a vie, strade, edifici, tradizioni, comunità.
Un esempio è il percorso di uno spazio, oggi chiamato Krasnopark, un’area verde che oggi è un maturo percorso partecipato di cittadini che hanno stretto un patto perché vogliono essere protagonisti attivi nella gestione del proprio quartiere.
Siamo in via Krasnodar, area che ha vissuto diversi passaggi e transizioni negli ultimi decenni all’interno di una area verde, mentre Patrizio Fergnani ci racconta qualcosa in più di quest’esperienza. Patrizio è uno dei quattro portavoce del gruppo di cittadini che gestiscono il progetto di questo parco, con Luigi Rasetti, Ilaria Pasti e Caterina Grata.
Dalle macerie ad un parco a gestione partecipata
“Questo parco era il cortile della scuola materna Aquilone, una scuola molto grande di questa area, che si portava dietro diverse crepe da anni e che con il terremoto del 2012 è stata dichiarata inagibile. È rimasta lì, per alcuni anni e infine abbattuta” ci racconta.
“Negli anni si è iniziato a parlare di ipotetiche costruzioni che sarebbero sorte su questo terreno: da aree di accoglienza per stranieri ad altre ipotesi, mai però chiare. Abbiamo iniziato a discutere con l’amministrazione Tagliani e costruito un progetto partecipativo con l’Urban Center (oggi chiuso) per la gestione condivisa di quest’area. A far partire tutto siamo stati noi cittadini, un gruppo di residenti nemmeno ufficialmente costituito, tanto che ci autodefiniamo “i cittadini del Krasnopark“: ci sono tra noi molti genitori di bambini e residenti in generale, interessati ad un uso partecipato di questi spazi.”
Intorno al 2016 vengono sgombrate le macerie della scuola materna e questo gruppo non ufficiale inizia a gestire il parco, inizialmente immaginando la creazione di un boschetto, con l’idea di far crescere orti e coltivazioni di qualità, man mano però il progetto si è strutturato in una direzione differente.
“Ad esempio ci è parso logico pensarlo come un parco senza giochi visto che qui intorno ne esistono già due adiacenti e infine, nel 2016 con questo gruppo di persone abbiamo indirizzato il progetto verso una gestione partecipativa di un parco a dimensione naturale“.
Gestione partecipativa significa, essenzialmente un patto tra cittadini e amministrazione: attualmente ad esempio alla piccola manutenzione pensano i cittadini mentre lo sfalcio lo garantisce il Comune. Altri supporti che ha dato il Comune negli anni sono stati due tavoli, la recente apertura della fontanella dell’acqua e negli anni scorsi una area barbecue, che però per diverse problematiche di gestione è stato rimosso.
“Con il nuovo patto vorremmo chiedere di avere il pozzo artesiano, in modo da non dover usare l’acqua potabile.” – spiega Patrizio, che poi fa un passo indietro per spiegare da dove nasca questo percorso partecipativo.
Le radici del comitato nel dopo terremoto
“Il Krasnopark è stata la prima evoluzione del nostro desiderio di lavorare insieme per questa area ma all’origine c’è stato un momento ancora precedente, un momento conviviale, chiamato Un tavolo lungo un parco che nasce sulla nostalgia di momenti vissuti assieme nel periodo del terremoto in Emilia. Quando c’è stata la seconda scossa, il 29 maggio 2012, siamo andati a prendere i bambini a scuola e ci siamo radunati qui, abbiamo cominciato a unire tavoli, buttare la pasta, portare strumenti per suonare e alla sera abbiamo piantato delle tende nel parco e abbiamo dormito fuori, per quella notte. Eravamo quattro o cinque famiglie.
“Dopo un anno mio figlio Marco mi disse –ti ricordi come si stava bene quella sera nel parco in tenda?- così abbiamo ideato una serata condivisa, partendo semplicemente da alcune mail a persone del quartiere, dove ognuno avrebbe portato cibo, sedie e tavoli che sarebbero poi stati tutti avvicinati l’un l’altro. Con il sogno nel tempo di arrivare, appunto, a coprire tutto il parco con una lunghissima tavolata di quartiere. Il primo anno eravamo una cinquantina, circa, ma nel tempo siamo arrivati ad essere anche cinquecento.
Da quella esperienza è nato molto: abbiamo fatto intestare il parco qui vicino ad Andrea Bui, l’uomo che piantava gli alberi e da questo momento conviviale è nata l’idea di un gruppo di coordinamento e poi del Krasnopark stesso.”
E ora questo gruppo immagina un processo di politica condivisa sul quartiere stesso, andando a creare una serie di incontri con l’idea di una democrazia dal basso che vada a portare richieste, progetti ed energie condivise, per riappropriarsi di questi spazi.
Un futuro di scelte condivise
“Questo è un quartiere che nasce da esperienze di edilizia popolare, da situazioni comunque complicate: negli anni Krasnodar, anche con il grosso aiuto della comunità della chiesa, ha superato le difficoltà negli anni Novanta, legate a indigenza e alle problematiche nell’integrare le diverse popolazioni straniere che si sono insediate.” spiega Patrizio.
Oggi invece l’integrazione passa anche da questo parco: Fergnani indica un’area che viene gestita da una comunità del Pakistan che vi coltiva le proprie essenze, racconta del gruppo di incontro tra persone cristiane e musulmane, dove ci si confronta su temi sensibili come il rapporto con la figura femminile e di come parlando le differenze diventino più semplici da comprendere. Oggi c’è un gruppo di madri di religione araba che una domenica al mese propone un aperitivo con té e i pasticcini fatti da loro a offerta libera, il cui ricavato viene poi gestito dalla parrocchia che acquista beni alimentari per la gente indigente.
“Abbiamo iniziato a raccogliere associazioni di zona: vogliamo ragionare in maniera partecipativa sul futuro del nostro quartiere, anche dialogando con i due che ci stanno vicini, Foro Boario e le Corti di Medoro. Potremmo recuperare in questo senso il progetto di una nuova biblioteca, magari aperta sempre, sulla base di modelli come Sala Borsa di Bologna, che potrebbe essere anche una risposta alla richiesta di luoghi di aggregazione comuni per dare una identità al quartiere.
Qui da anni si ragionava, anche con le precedenti amministrazioni, di costruire una piazza, perché un quartiere, senza una piazza manca di qualcosa, di un punto di aggregazione. C’è bisogno di governare la viabilità: immaginiamo una piazza dalla Chiesa alla scuola media, per consentire alle persone di muoversi a piedi entrando nelle scuole in una area che sia pedonale e non di passaggio per le auto, immaginiamo di provare a ripristinare alcuni servizi come l’edicola che è stata chiusa, di inserire nel progetto il già esistente chiosco, il recupero dell’ex Area Giovani, strutturando aree funzionali per giovani e anziani.
Abbiamo stilato un documento con la storia del quartiere e organizzato la prima assemblea pubblica, il 25 novembre, dividendoci in diversi gruppi, uno sull’aggregazione, uno sulla prossimità ( con temi come l’infermiere di comunità e gli educatori strada, ad esempio) le comunità energetica, la viabilità, l’ambiente, la cultura. Ci siamo divisi con un modello di partecipazione semplice, scrivendo aspetti positivi e mancanze e confrontandoci poi con un voto attraverso bollini sui temi reputati più interessanti. Adesso sulla base di questi faremo delle sintesi, su questi andremo a cercare i professionisti che si erano dichiarati pronti a darci una mano per immaginare il futuro di quest’area.”
Una tavolata, un parco e ora un quartiere: se le amministrazioni sapranno ascoltare, in questo angolo della città c’è una comunità che ha voglia di modellare attivamente il proprio futuro, attraverso luoghi e punti di incontro, tendendosi la mano nelle proprie diversità per riappropriarsi della possibilità di scegliere attivamente.