Il civico 18 di via Vignatagliata a Ferrara ha tutto sommato un aspetto ordinario, con un grosso portone di legno a custodire l’ingresso di un palazzo che si trova a pochi passi da via Mazzini ed è perfettamente coerente con le linee e i colori del quartiere nel quale si trova. Al di là del portone è custodita una storia decisamente interessante, con radici profonde, fatta di ingegno e senso pratico. A scrivere i capitoli del presente è Francesco Scanelli, per gli amici Cecio (“Decisi da piccolo che Francesco era troppo lungo da dire”), un ragazzo di neanche trent’anni che fabbrica telai da bicicletta in acciaio e sui suoi eleganti biglietti da visita ha fatto imprimere il marchio Frasca Frames.
La sua officina, ventuno metri quadri sul retro di un salone al piano terra arredato come una casa dei nonni, confina con un grazioso giardinetto interno che nelle mani giuste potrebbe diventare un formidabile spazio per la meditazione. Ma la pace interiore Cecio la trova quando è al tornio, o sta saldando tubi d’acciaio con una maschera che lo fa sembrare uno dei Daft Punk. “Adoro l’odore dell’acciaio”, dice con entusiasmo non dissimile da quello del tenente colonnello Bill Kilgore in Apocalypse Now. Nel suo caso l’odore dell’acciaio non è quello della vittoria, almeno non in senso stretto. Ma è quello della soddisfazione del creare qualcosa praticamente da zero. Francesco infatti progetta personalmente i suoi telai e poi li assembla sulla base delle richieste dei suoi committenti, in un procedimento che allo stato attuale gli richiede complessivamente quasi cinquanta ore di lavoro dal principio alla fine – verniciatura esclusa. “Ma posso migliorare, ho iniziato da poco”, ci tiene a puntualizzare.
Già, perché ci sono due particolari di cui tenere conto. Quello di Francesco è un secondo lavoro – viene alternato con quello da dipendente part-time per una multinazionale – e il dominio dei tubi d’acciaio è una questione piuttosto recente. L’officina in sé è stata allestita da ormai un paio d’anni, ma il primo telaio della Frasca Frames è stato completato ad aprile 2020, quando tutti eravamo chiusi in casa nella prima fase della pandemia globale. Francesco invece era chiuso nella sua officina tenuta in maniera quasi maniacale e adornata qua e là con reperti vari in tema ciclistico. Una specie di rifugio dallo stress e dai pensieri della quotidianità. Ma soprattutto il compiacimento di un impulso preciso: creare un oggetto fatto e finito. “Alcuni miei compagni d’università ora sono ingegneri che progettano bulloni o altri componenti. Per carità, se poi è un bullone di una Ferrari si tratta di qualcosa di importante. Ma io ho bisogno di immaginare e poi realizzare l’oggetto per intero”. La progressione comunque è stata rapida, visto che in dieci mesi la produzione è salita a tre telai e un altro è in cantiere al momento di realizzare questo articolo.
Piccola divagazione, ma giustificata. Per uno come Francesco, che ha lasciato perdere gli studi ingegneria meccanica a sette esami dalla tesi e poi si è laureato in design del prodotto industriale, la precisione non è un’opzione. Sbagliare di tre o quattro millimetri la misura di un tubo rischia di compromettere un telaio e di conseguenza la bicicletta che ne deriverà. Però fa riflettere anche la sua precisione nello specificare la superficie del suo spazio di lavoro. Se ve ne parla vi dirà ventuno metri quadrati. Non venti, o una ventina. Proprio ventuno. Intrecciando sacro e profano si scoprono alcune cose su di esso. Ad esempio che nella tradizione cristiana antica il ventuno è considerato il numero della perfezione, mentre nella teoria matematica dei numeri è definito come numero fortunato. Nell’alfabeto ebraico la ventunesima lettera è pronunciata “Shin“, una parola che si porta dietro un’etimologia e una simbologia molto complesse e che secondo alcune interpretazioni rappresenta (tra le altre cose) l’alleanza tra il creatore e la sua creazione. Per essere un’officina che si trova nell’ex ghetto ebraico non suona male, vero?
Francesco di fatto è un autodidatta, come la maggior parte dei telaisti artigiani attivi ora in Italia. È un circolo ristretto nel quale si conoscono quasi tutti e comprende nomi che lui cita quasi con reverenza. Dario Colombo, Simone D’Urbino, Aldo Mandato. Uomini che a loro volta hanno imparato guardando altri e poi si sono messi a sperimentare, sbagliare e riprovare, fino a riuscire a dominare la materia. Cecio la rivelazione l’ha avuta nel 2018 grazie alla sua coinquilina Dalia, che un giorno – a Berlino – gli disse qualcosa del tipo: “Se ti piace fare questo perché non ci provi?”. D’altra parte nel decennio precedente aveva esplorato questo mondo in lungo e in largo da appassionato e collezionista delle bici a scatto fisso, oltre che da ciclo-viaggiatore: a volte solitario, a volte in piccoli gruppi. Attrezzato col necessario, Francesco s’è spinto pedalando fino in Sardegna (con l’indispensabile aiuto di un traghetto sul Tirreno), così come a Parigi (partendo da Bologna). Ha usato i suoi studi universitari come base, il resto l’ha capito grazie a forum online, tutorial video, esperienze assortite e visite ad altri telaisti più o meno affermati come Nico Bonanno e Stefano “MrWolf” Ferrari. Ad aiutarlo ha contribuito anche una predisposizione che verrebbe spontaneo definire genetica, o quantomeno familiare.
Il bisnonno di Francesco si chiamava Umberto Malagò e fu l’inventore delle caffettiere Velox. Avviò la sua azienda negli anni Venti, la riaprì una volta terminata la Seconda Guerra Mondiale e per un periodo portò avanti la produzione di macchine da caffè proprio al 18 di via Vignatagliata, prima di trasferirsi in uno spazio più ampio a inizio anni Ottanta. Nel 1987, cinque anni prima della nascita di Francesco, l’azienda e i suoi brevetti furono ceduti e ora le caffettiere Velox sono perlopiù oggetti d’antiquariato e collezione. Qualche esemplare, ovviamente, fa parte dei reperti a disposizione della famiglia. “Mi sarebbe piaciuto molto occuparmi di una cosa del genere”, ammette Francesco maneggiandone un paio. La mela comunque non è caduta troppo lontana dall’albero, se si considera che il nonno Pietro – anche lui inventore di caffettiere – ha poi riorganizzato la vecchia officina come spazio dedicato a quelle che a Ferrara vengono comunemente definite “ciappinate” e ha educato il suo nipotino al lavoro manuale mentre gli altri coetanei giocavano con i Lego. Il bambino che tanti anni fa veniva piazzato davanti al tornio (“Sempre in sicurezza”, specifica lui) oggi lo utilizza per le sue creazioni, peraltro trattandolo come un prezioso cimelio. Un’eredità pesante, come tutte le cianfrusaglie ammassate in quel piccolo spazio. Ai tempi della sua riorganizzazione Cecio diventò una sorta di piccola celebrità con i lavoratori dell’isola ecologica di Hera, tale era la quantità di bidoni di latta e – appunto – ciappinate varie da smaltire.
“Quello del telaista di per sé è un lavoro che somiglia a quello del sarto”, spiega Cecio con un certo orgoglio. In effetti non ha tutti i torti. Per realizzare un telaio in acciaio (per alluminio e carbonio rivolgersi altrove) prima di tutto bisogna prendere le misure, a partire dalla statura del ciclista. Per il peso, almeno per il momento, si conta sull’onestà del committente: “Ma non bisogna mentire, altrimenti può diventare un problema. Se il telaio cede…”. Poi si passa alla domanda fondamentale: “Cosa ci vuoi fare con la bicicletta che ne uscirà?”. Alla Frasca Frames non si producono mountain-bikes, quanto piuttosto gravel, bici da corsa o da pista. Una volte scelti con cura i tubi su un catalogo che ha pagine a sufficienza per sembrare un testo sacro, si procede con la progettazione. Una volta approvato il disegno, per Cecio inizia la parte più divertente: l’assemblaggio. È quella che inevitabilmente richiede più tempo e che assorbe di più. “A volte rimane lì dentro delle ore e si dimentica anche di mangiare”, racconta qualcuno – anzi qualcuna – che lo conosce bene e peraltro è proprietaria di una bici a scatto fisso prodotta da qualcun altro. Bisogna tenere conto di un dettaglio non secondario: un telaio artigianale su misura, al pari di un bel completo di sartoria, implica una spesa che non tutti possono affrontare. Di norma si parte come minimo poco sotto ai tre zeri e più i componenti si fanno raffinati e più la cifra si fa impegnativa.
Ad ogni modo, quando il telaio è completato mancano giusto un paio di passaggi: la verniciatura (se ne occupa un amico più esperto) e il controllo qualità per verificare ogni minimo dettaglio prima della consegna. Quello che esce da via Vignatagliata 18 è appunto un telaio, non una bici intera: “Il resto del lavoro spetta al proprietario o ad un meccanico, anche se io sarei in grado di farlo. Ma per il momento l’ho fatto solo per biciclette che uso personalmente”. Dal produttore al cliente, senza passaggi intermedi, per quanto esistano telaisti che lavorano in squadra con numeri più alti e fanno da fornitori per altre officine. Come nel caso del sarto del quartiere, Francesco ci tiene a costruire prima di tutto un rapporto con chiunque gli richieda un telaio: “Mi piace l’idea di spiegare all’altro perché faccio certe scelte. Instaurare un rapporto di fiducia che parte dalle caratteristiche del prodotto e dalle esigenze del cliente”. Probabilmente con le caffettiere questo non sarebbe potuto accadere.
Considerata l’età, Francesco guarda verso l’orizzonte. Non gli dispiacerebbe fare dei corsi di saldatura dedicati esclusivamente ai telaisti (“Ma li fanno solo in Germania o negli Stati Uniti”), così come vorrebbe prima o poi cimentarsi col titanio. Far crescere un po’ la sua attività e magari diventare più visibile, in senso stretto: “Un giorno sarebbe bello avere una vetrina, magari accogliere le persone in officina. Oggi, per forza di cose, non è possibile e quindi uso il web per farmi conoscere”. Per il telaio su misura di E., invece, è ancora presto: “Per ora usa un Cannondale di fabbricazione americana. La cosa non mi entusiasma, ma fare un telaio artigianale per regalarlo è un impegno notevole. Più avanti, chissà…”. Per il cuore d’oro si prega di ripassare tra qualche anno, per il momento il suono (e l’odore) è quello dell’acciaio.