La SPAL si è salvata e l’anno prossimo Ferrara sarà ancora in Serie A: oggi vi racconto di una persona che piangerebbe di gioia per questa notizia, una persona che avrebbe seguito col fiato sospeso ogni minuto prima dell’ultimo fischio dell’arbitro, una persona che ha amato la SPAL anche quando era ben lontana dai fasti di oggi. La sua è una di quelle storie che meritano di essere ricordate. Non era il presidente della squadra, né l’allenatore o uno dei calciatori; non era neanche solo un tifoso, o “supertifoso”, come lo chiamava qualcuno. Francesco Venza era parte della famiglia SPAL. E la SPAL era “sua”, come lo sono una moglie, un figlio, una casa.Spallino sin dagli anni Cinquanta, ha seguito, tifato, amato la squadra anno dopo anno, senza che retrocessioni e delusioni scalfissero mai la sua fede calcistica. Se questo può essere forse scontato per un ferrarese DOC che sostiene la squadra della sua città nel bene e nel male, non è altrettanto usuale per un romano. Francesco Venza era, infatti, romano, classe 1936, viveva a Roma con la famiglia e da piccolo tifava Torino. Fu proprio all’epoca della tragedia di Superga (1949) che la sua vita si intrecciò con la SPAL. Ne nacque una bella storia d’amore. Il figlio, Alberto Venza, mi racconta la sua storia e con lui ripercorriamo i momenti più belli di quella che oserei definire una vera e propria simbiosi tra un tifoso con la sua squadra.
– Dopo la guerra, verso la fine degli anni Quaranta – racconta Alberto – mio nonno vinse la gara d’appalto per la ricostruzione di tutte le stazioni e rotaie tra Ferrara e Padova. Ebbe l’ufficio a Ferrara per tre anni, facendo avanti indietro con Roma, dove era rimasta la sua famiglia. Parliamo degli anni tra il 1948 e il 1952 circa. Mio padre iniziò a frequentare Ferrara nei weekend. La SPAL era in serie B e mio nonno conobbe il presidente della SPAL Paolo Mazza (che aveva un’impresa impiantistica, ndr), perché portò a riparare una gru nella sua officina. I due divennero amici, quindi quando la SPAL giocava in casa mio nonno aveva la possibilità di andare allo stadio come ospite. Ma lui non era un grande tifoso, mentre mio padre era un dodicenne appassionato di calcio e, pur non tifando SPAL, andava volentieri allo stadio.
Alberto mi spiega anche che all’epoca i palloni fuori campo non erano numerosi come oggi, non più di tre all’incirca, così per riprenderli bisognava correre parecchio; Paolo Mazza pensò bene di mettere Francesco ragazzino a bordo campo come raccattapalle. Alla fine si fece tutto il campionato a Ferrara, almeno nelle partite in casa. E così, dietro la porta, si innamorò della SPAL. Figuriamoci la sua gioia quando nel ‘51 andò in Serie A!
Come ha continuato a seguire le partite una volta tornato a Roma?
I primi anni, papà continuò a seguire le partite allo stadio solo quando la SPAL giocava a Roma, perché era uno studente e non poteva permettersi di spostarsi ogni weekend, non avendo più l’appoggio del padre a Ferrara. Dal 1974 andò a fare i ritiri precampionato con la SPAL, fino in pratica a quando è morto, nel 2003. Quasi trent’anni. Dagli anni Novanta inoltre si mise d’accordo con un amico, Roberto Benazzi, un fotografo di un paese vicino Ferrara: gli telefonava da casa e lui metteva la cornetta vicino alla radio da cui trasmettevano la radiocronaca della partita. Immagina ogni volta novanta minuti di interurbana per seguire la SPAL! Anche quando era in serie C, ovviamente. Negli ultimi anni era finalmente entrato in contatto con Telestense per vedere la partita in streaming; sarebbe stato possibile a partire dalla stagione 2003-2004.
Che rapporto aveva con la squadra e la società?
La sua è una storia unica. Lui viveva all’interno della squadra come tifoso. Paolo Mazza ha smesso di essere presidente della SPAL nel 1976, ma papà era ormai parte della SPAL. Conosceva tutti. Man mano che cresceva, diventava come un padre per i giocatori che spesso gli telefonavano anche per chiedergli un consiglio. Lui diceva che la SPAL era il suo quarto figlio. Mio padre non era invadente, sapeva ascoltare, era un punto di riferimento per tutti. Era discreto, non faceva pettegolezzi, quindi la società si fidava di lui. Durante i ritiri, se desiderava una foto di gruppo, l’allenatore faceva cambiare i giocatori appositamente per la foto. Era un grande amico del massaggiatore, del medico, del bigliettaio, del magazziniere. Li ospitava anche a casa quando venivano in trasferta a Roma. Un sorriso, una chiacchiera, ed era subito “Franco” per tutti.
A quanto pare, per la SPAL Franco faceva cose che neanche per moglie e figli. Se aveva voglia di vederla, in un attimo si preparavano le valige e si partiva per Ferrara o per la città in cui era in trasferta.
– “Vi va domani di andare a Prato?” ricorda Alberto – Era capace di svegliarci alle 3-4 di notte dicendo “Bambini, andiamo tutti a Ferrara!”. Con un’aria tra il nostalgico e il divertito, Alberto mi racconta anche di un episodio del ’67, quando era bambino e seguiva col padre Bologna-SPAL grazie a una trasmissione in TV.
– Stavano pareggiando 2-2. Per sbaglio urtai un mobiletto facendo cadere e rompendo un orologio a cui papà teneva tantissimo. Lui si infuriò e iniziò a rincorrermi per tutta casa, ma al novantesimo la SPAL segnò e vinse. Così la rabbia si trasformò in gioia e la felicità della partita superò il dispiacere dell’orologio rotto. Papà continuò a rincorrermi, ma stavolta con l’intenzione di abbracciarmi e festeggiare. Lui con la SPAL tornava bambino, non capiva più niente.
– In casa girava con la tuta della SPAL – ricorda ancora Alberto – vantandosi di avere lo stemma sul cuore, con mia madre che puntualizzava “Veramente sta a destra…”. Ma papà aveva veramente la SPAL nel cuore, aveva un amore smisurato e lo trasmetteva a tutti. Chi lo conosceva diventava, se non tifoso, quantomeno simpatizzante della SPAL. Tanto che l’anno scorso, quando è passata in A, molti miei amici mi hanno chiamato per complimentarsi, nel ricordo di mio padre.
Alberto mi racconta anche di quanto il padre fosse sconvolto ogni volta che la SPAL retrocedeva di categoria. Era capace di chiudersi in una stanza al buio, sotto shock, in lutto, proprio come se fosse morto qualcuno della famiglia.
Perché per Franco la SPAL era davvero qualcuno della famiglia. E se in tutta la sua vita da tifoso innamorato ha vissuto le sconfitte come un lutto, nel 2003 è la SPAL che ha giocato una partita con il lutto al braccio e osservando un minuto di silenzio perché se ne era andato uno di famiglia, se ne era andato il supertifoso romano Francesco Venza.
La società manifestò il suo cordoglio inviando, per il funerale, la bandiera biancazzurra con cui coprirono la bara, come avrebbe desiderato lui.
Luciano Cazzanti, dirigente del settore giovanile della SPAL, nella lettera di condoglianze alla famiglia Venza scrisse:
“Franco era un innamorato della SPAL e di Ferrara e rimarrà sempre nel ricordo di tutti quelli che l’hanno conosciuto”.
Uno striscione esposto in occasione del centenario della SPAL nel 2007 è forse l’ultimo segno di una storia d’amore senza fine che ha segnato mezzo secolo della storia della SPAL:
“Franco Venza sempre con noi”