Un’umanità mai sconfitta: Ervardo Fioravanti pittore, giornalista e poeta 

Un ritratto fra prigioni texane, opere sequestrate, vecchie osterie e struggenti poesie, fra cultura e lotta politica del Novecento ferrarese
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«La cultura benché nasca dalla fantasia e dalla capacità inventiva degli uomini deve essere specchio della vita, rifletterne la realtà più profonda, il movimento perenne». La cultura «serve a conoscere il mondo, ma solo con l’azione lo puoi cambiare».
(Ervardo Fioravanti[1])

Una personalità particolarmente importante per la nostra città, un intellettuale che ha attraversato tutto il secolo scorso raccontandolo e rappresentandolo. Ma Ferrara continua ancora a ignorarlo. Non lo fa, invece, la sua terra natìa, che fino al 20 luglio ospita a Fratta Polesine (Villa Badoer) l’antologica Ervardo Fioravanti artista e intellettuale tra Rovigo e Ferrara.

Fioravanti nasce nel 1912 a Calto (RO), nel ‘27 inizia a lavorare come decoratore murale per il padre capomastro e nel 1931 si iscrive all’Istituto di Belle Arti di Urbino. Come scrive il curatore Alfredo Sigolo nel catalogo della mostra di Fratta Polesine[2], il giovane Fioravanti «matura una sensibilità naturalista e analitica che lo porta a restituire la realtà che lo circonda nel disegno, nella grafica e nei primi dipinti: ritrae vedute e casolari, strade secondarie o scene di vita quotidiana, indaga la personalità di gente comune». Terminati gli studi a Urbino, fra il 1932 e il 1936 soggiorna a Milano e nel ‘38 torna a Rovigo dove collabora col quotidiano Il Polesine Fascista per poi venir assunto al Resto del Carlino come redattore delle Cronache Polesane.

Ufficiali prigionieri a Hereford. Gaetano Tumiati è il sesto in piedi da sx. Seduti da sx- il terzo è Giuseppe Berto, il quinto Fioravanti (foto Floretta Ravaglioli e Anna Rizzon)

Marx in Texas

Nel 1941 è chiamato in guerra: combatte in Croazia, a Messina e a Pantelleria, dove viene fatto prigioniero dagli Alleati. Nel ’43 viene trasferito a Casablanca e a fine giugno (fino a febbraio ‘46) nel campo di Hereford, Texas, dove continua a disegnare, dipingere e scrivere, condividendo prigionia e attività con personalità come Alberto Burri, Giuseppe Berto e Gaetano Tumiati. Scriverà don Franco Patruno sulle sue opere texane[3]: «Una cosa che non può non stupire (…) è che la guerra è particolarmente assente; volti di soldati, paesaggi, interni di baracche, satira sulla vita del campo sono l’indiretta voce di un dramma che sta fuori; questa scelta (ma, ancor meglio, questa propensione) coglie, a mio avviso, la vita che continua, il valore umano che persiste nella tragedia, nonostante la tragedia. Fioravanti “vede”, nel senso profondo del penetrare una umanità mai sconfitta». Confesserà all’amico Sitti: «È stato uno dei periodi più felici della mia vita, per la solitudine, la libertà che avevo di essere uomo, senza nessun problema da affrontare che non fossero quelli della mia consapevolezza»[4].

Realizza dipinti, disegni, poesie, grandi pannelli con i materiali che trova: «pezze da piedi militari logorate dal lungo uso, insetti catturati nel campo» e altro[5], fonda la rivista politico-letteraria Argomenti, collabora con altre, scrive la scenografia di un dramma, insegna arte. E con altri dà vita a un gruppetto comunista; scrive lo storico Conti[6]: «Dopo la caduta del fascismo e l’armistizio, il dibattito politico cominciò a farsi strada tra i prigionieri e fu animato soprattutto dai prigionieri di sinistra. Questi si riunivano nel gruppo dei “collettivisti”, organizzato da Ravaglioli [Giosuè, giornalista triestino, ndr], nel quale si discuteva di politica e si parlava per la prima volta di dittatura borghese e di lotta di classe. Il comando americano, dando prova di liberalità, permetteva la circolazione dei libri di Karl Marx e Lenin». 

Il post prigionia non sarà facile; il 25 agosto 1946 scrive a Renzo Barazzoni[7]: «non faccio (…) che sentire nostalgia della prigionia. Per quanto non mi manchi il necessario per vivere, sono sempre in preda ad un’angoscia senza scampo […]. I miei prossimi imenei non sono altro che un tentativo per togliermi da questo stato d’animo. Ma il mio cuore è sempre sugli altipiani […]».

Prima del rilascio, nel 1946, dal campo di Hereford, Fioravanti spedì in Italia questa valigia contenente pochi effetti personali e molti dei suoi scritti e lavori artistici lì realizzati. Dopo circa un anno, quando ormai si considerava perduta, la valigia giunse fortunosamente a destinazione. La valigia è esposta nella mostra in corso a Fratta Polesine.

Questo lo sequestriamo!

Fino al 1948 insegna all’Istituto d’arte di Urbino per poi tornare al giornalismo come redattore del Corriere del Po, edizione ferrarese del quotidiano di sinistra Il progresso d’Italia, con sede in via Contrari. In questo periodo sposa Maria e i due hanno un figlio, Giuseppino “Pino” (morto nel gennaio 2025). Per il giornale gira la provincia, incontrando i braccianti e gli operai in sciopero: disegni e dipinti in questo periodo nascono dall’incontro con queste persone. E proprio nel ‘48 a Ferrara nasce, ad opera di Fioravanti e di altri di intellettuali di sinistra (fra cui Sitti, Vancini, Rambaldi, Roffi), l’Associazione culturale Antonio Gramsci che promuove dibattiti, mostre, proiezioni, spettacoli teatrali fino alla sua chiusura nella metà degli anni ’50[8].

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La carica, 1952

Nota a parte merita il dipinto La carica, olio del ‘52 raffigurante una carica di carabinieri a cavallo contro lavoratori in sciopero. Esposto nel ‘53 a una collettiva di ferraresi nel Ridotto del Comunale, il quadro viene ritenuto offensivo per le forze dell’ordine e sequestrato: come spiega Scardino[9], «il dipinto venne sequestrato per ordine del questore Ettore Bonichi (fratello, per di più, del celebre pittore Scipione)». Fioravanti donò poi l’opera alla Camera del Lavoro di Ferrara, dove, nei primi anni Cinquanta, assieme a Carlo Rambaldi e Alberto Cavallari, ha addirittura uno studio “improvvisato”. Nel ’52 inizia a insegnare all’Istituto d’Arte Dosso Dossi, di cui diventerà preside nel ’60.

Ma che bel filò…

Nel ‘50 è tra i fondatori di Al Filò, cenacolo culturale per promuovere gli artisti locali più importanti (fra cui Tassini, Virgili, Zucchini, Orsatti, Magri, Cattabriga, Ancona) con mostre e dibattiti. Ha sede nella Trattoria della Croce Verde di Ferrara, nel cortile di Palazzo Bartolucci – piazzetta Boccaleone – tra via Boccaleone e via del Turco[10], nota come “Osteria di Pellegrino”, dal nome del proprietario e gestore. La prima uscita pubblica del Filò sarà a ridosso del Natale 1950 una collettiva esposta nell’atrio del Teatro Comunale (e un’altra mostra nello stesso luogo la fecero nel giugno ‘52).

Durerà fino al ’52 ma segnerà la vita artistica della città. Scrive ancora Scardino[11] : «Stabilito un regolamento in quattro punti (e questi punti costitutivi dell’antiaccademica associazione vennero scritti su tovaglie di carta fornite direttamente dall’oste!), Il Filò si diede subito un’impostazione democratica e antipartitica…»: presidente è il socialista Giuseppe Longhi; vicepresidenti il comunista Mario Roffi e il democristiano avv. Antonio Boari. Alle sue iniziative parteciperanno personalità come Roberto Melli, Mario Mafai, Salvatore Quasimodo, Renato Birolli, Tono Zancanaro e Sibilla Aleramo. Nel ’53 Vancini dedica al Filò un cortometraggio[12]

Nel ‘59 con l’amico Renato Sitti[13] Fioravanti inaugura la Galleria d’arte Il Bulino: fra gli eventi, nel ’60 uno che vede relatori – oltre a Fioravanti e Sitti – l’editore Einaudi, Moravia e Pasolini. Queste le sedi della Galleria: Vicolo Mozzo delle Agucchie 2, piazzetta Schiatti 8 (da marzo ‘60), piazza della Repubblica 19 (da aprile ‘65). Anni dopo, nel ’73, Fioravanti dà vita a uno Studio/Galleria in via Contrari, 40, chiamandolo proprio Il Filò, che durerà almeno fino al 1985 e, nelle intenzioni iniziali di Fioravanti, avrebbe dovuto chiamarsi Amabilia, come il nome di sua zia[14]

Ervardo Fioravanti, Eccidio di Villamarzana, 1955, olio su tavola, cm. 35×100 – coll. MAMbo di Bologna

Tante le sue mostre a Ferrara e in giro per l’Italia in questi anni, fra cui ricordiamo nel ’63 una personale in Castello (e un’altra nel 1984), una collettiva a Diamanti nel ‘66, una personale a Diamanti nel ’68-‘69[15], nel ’73 nella Galleria d’arte La Faretra (via Cairoli, 35, Ferrara) nell’81 nell’Istituto Italiano di Cultura a Bucarest. Sempre nel 1981 muore il fratello Estevan, classe ’19, anch’egli pittore e incisore. Ervardo morirà invece nel 1996 nella sua casa in via Guido D’Arezzo. Nel 2001 Ferrara gli dedica una retrospettiva al PAC[16].

Ervardo Fioravanti, Alla stazione di notte, 1962, olio su tela, cm. 70×70 – coll. Fioravanti – Ferrara

Ervardo, poeta

Sfogliando il catalogo della sua personale in Castello del 1984[17], ci si imbatte in alcuni versi – erotici e scherzosi, ma non privi di malinconia – tratti dalla raccolta allora inedita Glutei e farfalle. Sì, perché Fioravanti non si dilettava anche di poesia ma possedeva un’autentica vena poetica. Un’attività, questa letteraria, che inizia negli anni giovanili a Urbino. Lo spettro imprevedibile e contraddittorio dell’animo umano emerge in tutte le fasi della sua vita dai versi che consegna ai suoi taccuini. Ne cito solo alcuni.

«Batto le mani, son proteso / come un fanciullo / là dove il giusto / corre a punire il malvagio, / e anch’io feroce son nel roteare / implacabile della fulgida spada. / E Cristo fu invano. / Il mio sogno non è / che una fremente giustizia»[18].

«Sono, talvolta, un pittore / di goffi uomini e di bianchi cieli, / di fanciulle vestite di rosso / amoreggianti nelle scure golene del Po. / Di là dal fiume case celesti / avvolte d’alberi densi / e d’umane memorie / e di favole che l’affannosa vita / amaramente consuma»[19]

«Assunte nell’angelica luce / forse si dissolvono le pene / e le ore sfileranno in serene / arie pomeridiane. / O forse non sarà mai. / Il nostro cieco cuore / non riposerà nel limbo celeste / se quaggiù in cupe foreste / gli sperduti fratelli / non troveranno il nostro amore»[20].

Non mancano poesie grottesche, pungenti, amare e sboccate: «Stridono dolci alabarade / sui peschi gemellati / e verdi mulatte corteggiano / mutevoli stambecchi / cosparsi d’albicocche / e d’orrende serpi calcinate»[21].

Queste liriche non contraddicono la missione intima a cui Fioravanti ha dedicato la propria vita: «Quello che cerco di rappresentare – scrive nel ’61 – non è il mondo che vagheggio, ma quello in cui vivo. Gli uomini che dipingo ed il paesaggio in cui sono ambientati, sono il risultato della mia esperienza d’uomo e d’artista; un’esperienza non passiva, naturalmente, perché non dimentico mai un istante di volere per me e per gli altri un mondo migliore di questo, nel quale vorrei, però, rimanesse, in mutati rapporti, molto di quanto esiste»[22].

Ervardo Fioravanti, Repressione, 1968, olio su tela, cm. 70X100 (coll. Fioravanti – Ferrara) Ervardo Fioravanti, Repressione, 1968, olio su tela, cm. 70X100 – coll. Fioravanti – Ferrara

[1] Ervardo Fioravanti, Poesie e vecchi clichés, ed. “Il Bulino”, Ferrara, 1963.

[2] Ervardo Fioravanti: artista e intellettuale tra Rovigo e Ferrara, catalogo dell’omonima mostra a Fratta Polesine, Villa Badoer, dal 16 maggio al 20 luglio 2025.

[3] Istituto di cultura Casa G. Cini, Ervardo Fioravanti: disegni di guerra e di prigionia, Istituto di cultura Casa G. Cini, dall’11 al 26 ottobre 1986.

[4] Ranieri Varese (a cura di), Ervardo Fioravanti. Scene della commedia umana, catalogo della mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Ferrara – Palazzo Diamanti, dal dicembre 1968 al gennaio 1969, ed. Calderini, Bologna, 1968.

[5] Idem.

[6] Flavio Giovanni Conti, Hereford. Prigionieri italiani non cooperatori in Texas, Società ed. Il Mulino, Bologna, 2021.

[7] Idem.

[8] Emiliano Rinaldi, Renato Sitti e l’arte contemporanea: critico, gallerista e curatore, Relazione presentata all’incontro di studio Renato Sitti a Ferrara. Cultura come partecipazione. Prime ricognizioni sulla figura e l’opera di un intellettuale poliedrico, Ferrara, Archivio Storico Comunale, 16 dicembre 2017.

[9] Lucio Scardino, Il Filò di Ervardo: un legame ininterrotto, in Ervardo Fioravanti: artista e intellettuale tra Rovigo e Ferrara, catalogo dell’omonima mostra a Fratta Polesine, Villa Badoer, dal 16 maggio al 20 luglio 2025.

[10] Marco Nonato, Ristoranti, caffè, osterie, alberghi di un tempo, 2016 (self editing).

[11] Lucio Scardino, Il Filò di Ervardo: un legame ininterrotto, in Ervardo Fioravanti: artista e intellettuale tra Rovigo e Ferrara, cit.

[12] Fioravanti – si racconta nel documentario – «cerca l’ispirazione più direttamente dalla vita che ferve nelle strade, nei mercati, fra la gente […]. Egli è un narratore e, nella composizione animata, cerca il racconto. Talora si raccoglie in sé stesso ed una sottile vena di malinconia addolcisce le sue immagini di una tiepida periferia».

[13] Sitti che nel ’73 sarà promotore del Centro Etnografico del Comune di Ferrara.

[14] Grazie a Emiliano Rinaldi per alcune informazioni su Il Bulino e Il Filò del ’73.

[15] V. nota n. 4.

[16] Ervardo Fioravanti, a cura di Maria Luisa Pacelli, PAC – Padiglione di Arte Contemporanea, Ferrara, dal 16 settembre al 18 novembre 2001.

[17] Favole, miti e fiori nei disegni di Ervardo Fioravanti, Ferrara, Castello Estense, Sala dei Giochi, dal 16 giugno al 9 settembre 1984.

[18] Da Cristo fu invano, in Poesie e vecchi clichés, cit.

[19] Da Sono talvolta, in ibid.

[20] Da Pala d’altare, in Ervardo Fioravanti, Prime poesie, Istituto d’Arte, Urbino, 1947.

[21] Ervardo Fioravanti, Il versipelle, ed. Il Filò, Ferrara, 1982.

[22] Ervardo Fioravanti, Dialogo tra il pittore ed un amico poeta nel primo giorno dell’era cosmica, Pieghevole di presentazione della personale di Fioravanti La gente ruvida, Galleria Il Bulino, Ferrara, dal 13 al 25 maggio 1961 (in Ervardo Fioravanti: artista e intellettuale tra Rovigo e Ferrara, cit.).

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