Introduzione: Crossing, ovvero il titolo del disco.
L’italiano è (per davvero) una delle lingue più belle del mondo, per la infinita varietà e ampiezza di stile, possibilità concesse e registri da utilizzare.
Allo stesso tempo l’inglese è infinitamente più essenziale, con parole che a seconda del contesto vanno a variare il significato ma che consente di condensare molteplici sfumature all’interno di una sola parola.
Crossing, per traduzione naturale si presta dunque ad alcuni significati: attraversando, incrociando, mettendosi in collegamento. Ed è il titolo scelto per il nuovo album di Enrico Cipollini, musicista ferrarese, quarant’anni, al secondo disco a proprio nome.
Raccontiamo l’incontro attraverso tre capitoli, tre sfumature di significato, ma anche direzioni da prendere e percorrere una dopo l’altra per avere coscienza (quasi) completa di ciò che sta dietro ad un album musicale.
Atto Primo: Attraversando, ovvero il percorso.
“Arrivo a questo disco dopo diverse esperienze in gruppi (Underground Railroad, Free Jam, Violassenzio) dove avevo suonato i generi più disparati finchè, tra il 2014 e il 2015, mi ritrovo con un pugno di canzoni scritte da me e queste band in una fase di stasi artistica. Canzoni vicine a quel folk e blues americano, molto diverso dal mio precedente percorso.
In questa raccolta di canzoni non vedevo chissà cosa, finchè diversi amici e conoscenti mi hanno incoraggiato a proseguire in quella direzione, restituendomi pareri e riscontri molto positivi. Il percorso è proseguito e nel 2016 ho fatto uscire “Stubborn Hill” primo disco solista a mio nome, che ha ricevuto diverse recensioni positive.
Quattro anni dopo eccoci qui: non è più Enrico Cipollini, ma Enrico Cipollini & The Skyhorse, perchè ho percepito il lavoro delle persone che mi hanno aiutato a completare il disco come un processo creativo e collettivo e non più solo un ottimo supporto: si è creato un gruppo, una band, un suono chiaro e definito.
L’anno che mi ha portato a chiudere questo disco è stato piuttosto complesso a livello personale e concluderlo mi ha aiutato a finire questo percorso: è stato un vero e proprio attraversamento. E in questo senso per me produrre un album e concluderlo è ancora un elemento centrale: non riesco a immettermi nella modalità di rilasciare costantemente delle canzoni come fanno diversi artisti nelle piattaforme di streaming: il disco racchiude in sè un percorso che va quindi mantenuto a livello unitario, che si conclude.”
Atto secondo: incrociare, ovvero aprirsi.
“Quando mi metto a fare musica sono completamente libero, senza dover pensare a logiche di mercato o altro: anni fa ho fatto la scelta di mantenere un lavoro sicuro e diverso che mi desse la possibilità di non avere vincoli nella mia vita artistica: non dipendo dalla musica, in altre parole. Ovviamente è un sacrificio ma mi consente di non dover rientrare in logiche economiche, temporali e di mercato, ma semplicemente di fare quello che più sento mio.
Nel disco come dicevo c’è più apertura sonora, lo sento molto meno intimista del primo, il lavoro delle persone con cui ho collaborato è stato prezioso così come la collaborazione con la cantante Joanna Maria, di Dublino, con cui abbiamo purtroppo lavorato a distanza in questa occasione per naturali difficoltà logistiche, ma che è stata davvero incredibile.
Sicuramente il disco guarda anche fuori dall’Italia, per quanto noi tendiamo ad essere un pò esterofili in questa tipologia di suono, dando maggiore valore all’artista se magari è americano o inglese, pur avendo tanti artisti italiani di livello.
Sicuramente è un suono che ha pubblico fuori dall’italia e in prospettiva c’era l’idea di collaborare con una persona di un ufficio stampa europeo e ragionare su un tour in Europa e forse negli Stati Uniti. Dove però al momento per ovvi motivi è difficile pensare di organizzare qualcosa, oltre ai noti problemi di visti che già esistevano da prima.”
Atto terzo: mettersi in collegamento, ovvero le parole.
“Mi hanno fatto notare che nel disco c’è come un percorso che parte da una narrazione più esterna fino a brani che man mano sono sempre più introspettivi e personali: non è una scelta fatta consapevolmente ma a posteriori acquisisce un senso, anche se non ci ho pensato razionalmente nel momento di pensare alla scaletta.
Credo che a volte nemmeno chi scrive, un testo di una canzone o un romanzo abbia in mano tutte le chiavi di lettura di quello che ha scritto. Anche il modo in cui tu hai tradotto certe emozioni in parole potrebbe essere anche non preciso, sei tu stesso autore che apri a interpretazioni diverse.
Più sei un grande scrittore, come Bob Dylan o John Steinbeck e meno dai spazio all’interpretazione grazie alla chiarezza che riesci a dare con le tue parole. Se dovessi scegliere delle affinità letterarie, Slipping Away, la prima traccia del disco, la vedo vicina a quel mondo raccontato da Steinbeck in Furore, parla degli ultimi e di persone che si muovono lungo il mondo, in cerca di speranza. E parlandone mi rendo conto che nella canzone, come nel libro, ci sono riferimenti a persone che abbandonano le città, che si svuotano e diventano città fantasma, intravedo dei punti di contatto e dei temi che si ripetono generazione dopo generazione.”
Mamma non hai dei brutti presentimenti? Non ti fa paura, andare in un posto che non conosci?”
Furore, John Steinbeck
Gli occhi della mamma si fecero pensosi ma dolci.
“Paura? Un poco. Ma poco. Non voglio pensare, preferisco aspettare. Quel che ci sarà da fare lo farò.”
Epilogo, ovvero ciò che verrà.
“Dopo questo disco? Sicuramente c’è la voglia di suonarlo dal vivo e le prime date stanno arrivando, nonostante il contesto difficile ma si poteva pensare ad uno scenario anche peggiore. Mi piacerebbe non fare passare altri quattro anni per un nuovo disco, semplicemente!”
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