

di Silvia Belcastro
Nell’ottobre 2025 è uscito Non mi troverai, esordio al romanzo dello scrittore
ferrarese Roberto Giacometti (Apogeo Editore, progetto grafico di OBST – Eugenio
Ciccone). L’opera, già avviata nel suo percorso di incontro col pubblico, verrà
presentata il 4 dicembre alla Biblioteca Bassani di Ferrara, alle ore 17.
Allievo di Giuseppe Pontiggia per la scrittura e di Cesare Bornazzini per la
sceneggiatura, Giacometti approda al romanzo dopo Chissà se Miranda verrà…, elegante raccolta di racconti uscita nel 2020, sempre per Apogeo. Non mi troverai nasce come l’evoluzione di uno dei racconti, ma presenta il lato inedito dell’autore: lo sceneggiatore. Cinquant’anni di storia italiana – dal 1964 al 2014 – sono racchiusi in una saga familiare che attraversa varie generazioni. L’ambientazione è prevalentemente ferrarese, il passo è cinematografico e il personaggio cardine è un anomalo San Giorgio.

Giorgio Fabbri è il figlio di Elsa – “lei che ha visitato Venezia, un’ora e mezza di
treno, non prima di aver compiuto quarantadue anni” – e di Oreste, proprietari di una
trattoria nel cuore dell’antico quartiere ebraico di Ferrara. È un giovane che eredita dalla
generazione precedente l’etica del lavoro e una saggezza pratica, ma incarna anche la
tensione di futuro di una sinistra inquieta, alla ricerca di sé più nella realtà che
nell’ideologia. Porta il nome del Patrono della città, ma si dichiara un piccolo-borghese
e riflette a modo suo sull’iconografia del cavaliere trionfante e assassino di draghi. Della
leggenda, infatti, Giorgio Fabbri ama più che altro la scena in cui il santo rende il drago
mansueto e lo lega alla cintura della principessa, ma non è a suo agio con quella in cui
lo uccide. Su questo junghiano progetto di mettere al guinzaglio l’ombra dell’uomo, si
disegneranno la sua vita e la sua discendenza.
Il tema del doppio – la luce e l’ombra dell’essere umano di fronte agli snodi
dell’esistenza – è il fulcro di tutto il romanzo. La luce entra nella vita di Giorgio
nell’estate del 1964 ai Lidi Ferraresi, con l’apparizione di Birgit Olsen. Una sorta di dea
nordica arriva dalla Danimarca in pullman, ma qui Giacometti si sta divertendo con il
doppio di un mito locale: se per molti le corriere portavano sulle nostre spiagge il sogno
stagionale delle bionde, per Giorgio è il grande amore. Birgit è fortezza selvaggia, concreta e trasparente assieme: là dove Giorgio ricerca la norma sociale (ma celando un bisogno viscerale di indipendenza del pensiero), lei milita nei movimenti femministi. Sono lo specchio di un’epoca. Si innamorano e viaggiano tra l’Italia e la Danimarca, ma alla fine scelgono Ferrara: Giorgio Fabbri studia il danese e legge Kafka, Birgit Olsen studia italiano e design.

Presto, la coppia Fabbri-Olsen genera un doppio – Ellen e Giulia – e le bambine
nascono a mezzanotte, a cavallo di anni diversi: l’una è figlia della notte del 1974,
l’altra dell’alba del 1975. Non appena diventano adolescenti, però, si rompono come un
uovo caduto dal nido, perché la corsa dei Fabbri-Olsen viene spezzata dall’improvvisa
morte di Birgit. La perdita apre quindi il vero viaggio del libro: due ragazzine sono
chiamate a esistere di colpo come filiazioni di un padre solo e si rivelano forze
necessarie, oscure e luminose assieme, dell’essere umano che fronteggia il più potente
dei draghi. Quasi trecento pagine di vicende familiari e straordinari cammei si dipanano sul crinale tra due luoghi – Ferrara e la Danimarca – e due tempi: un prima e un dopo la
frattura.
Le sorelle – nate identiche – escono dal trauma completamente diverse: se una ne porterà le cicatrici sul corpo, l’altra le porterà nell’anima. Cresceranno, si innamoreranno e ci sfideranno nelle facili gerarchie con cui valutiamo il dolore degli
altri: là dove l’una reagirà (forse) verso il mondo esterno, l’altra correrà (forse) verso
l’interno di sé stessa, ma se l’esterno di una sarà l’interno dell’altra, le vedremo lottare
entrambe per accettare l’innocenza – o la colpa – propria e della sorella. Si perderanno,
per ritrovarsi: si ritroveranno, per potersi perdere. Contrappesi – loro malgrado – del destino, le gemelle di Giacometti ripetono e trasformano gli archetipi della morte e della rinascita di un uomo e di una intera famiglia, e di tutti noi, dando vita a un dialogo che culminerà nella domanda radicale del romanzo, che è forse quella di Giorgio stesso: è possibile il perdono?
La grande messinscena della morte di una delle due gemelle, finzione nella
finzione, apre il libro e ritornerà in chiusura come uno dei momenti più alti della storia.
Lo sappiamo dalle prime pagine, tutto questo, perché il Giacometti sceneggiatore
sceglie di scrivere l’intero romanzo in retrospettiva. È un montaggio audace, ma rende
l’opera un’immersione totale in cinquant’anni di storia italiana e cittadina, rendendoci
partecipi di una vita familiare e collettiva. Camminiamo per le strade di una Ferrara
abitata da piccole divinità passate e presenti – la Generalessa dell’Arcispedale
Sant’Anna, il teatro comunitario, l’antico manicomio di San Bartolo e ovviamente
l’Omone dell’Acquedotto, con le sue acque abitate da draghi – e poi ci spostiamo a
Volterra e in Danimarca. La grande letteratura è sempre presente: ogni membro della famiglia Fabbri-Olsen ci rende partecipe delle sue ossessioni letterarie, trasportandoci all’interno delle storie che lo invadono o che vengono indossate come nuove identità. Sono però sempre le due gemelle – infine adulte – a spiegarci davvero come scegliere chi siamo quando scegliere non si può, perché c’è un’altra lei a dire noi stessi. È una storia d’amore tra sorelle, scritta tutta nel cuore di un uomo che si è spezzato e che pure deve tenere in piedi il mondo. Due passi indietro e lo vediamo. È un San Giorgio minore, che fa pensare a un concetto di cui oggi, forse, sentiamo la mancanza: la mitezza.


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