

di Anna Chiara Venturini
Nel novembre 1878 Teresa Stolz, amica della duchessa Maria Waldmann moglie del duca Galeazzo Massari, entrambe cantanti liriche stimatissime da Verdi, trascorse un breve soggiorno a Ferrara, ospite dei duchi nel Palazzo di corso Porta Mare che ancora oggi porta il loro nome. Vi rimase un sol giorno, ma bastò per scrivere in una lettera al Maestro “Non ho mai veduto tanta splendidezza e ricchezza.”

Cento anni prima, Giuseppe Alfonso Maggi, Priore della Certosa di Calci a Pisa, annotò nel suo diario che il “nuovo giardino che sta facendo il marchese Bevilacqua lo ha reso pubblico come il Boboli di Firenze e vi trovassimo centinaia di persone che passeggiavano per quei amplissimi viali, cosa che sarà molto comoda per tutta la città il poter andare a divertirsi in un giardino così ameno e per le statue e per gli animali e volatili e per la simmetria, quando vogliono.”
E che dire di Giorgio Bassani, ispiratosi a questo Parco e al giardino di Ninfa per la scenografia de Il giardino dei Finzi-Contini?

È il 1780. Il marchese Camillo Bevilacqua di quel parco che circonda la sua dimora volle farne qualcosa di geniale e incaricò l’architetto Luigi Bertelli che in sette anni creò un capolavoro di simmetria decorativa e armonia nel verde. Col passaggio di proprietà ai Massari, da giardino all’italiana divenne giardino all’inglese. Dichiarato dal Ministero dell’Educazione Nazionale – il dicastero che durante il Regno d’Italia si occupava di antichità e belle arti – un bene da salvaguardare per particolare interesse storico, il parco fu venduto nel 1936 dalle eredi Massari al Comune di Ferrara, con la clausola che restasse aperto al pubblico. E così quest’area verde di 45.000 mq, pari a quasi sei campi da calcio, oggi è il più vasto dei giardini pubblici entro le Mura nella nostra città.
Nel 1962 il Comune pensava di realizzarci uno zoo, ma il progettò restò sulla carta. Oggi ospita una fontana leonina, il busto di Giuseppe Verdi, commissionato a Giacomo Zilocchi dalla duchessa Maria Waldmann Massari e dedicato al suo amato Maestro (1914), quello di Cesare Battisti eseguito da Amedeo Colla (1939/1940) e quello di Dante Alighieri, realizzato da Mirella Guidetti Giacomelli (2000). Il Parco ospita eventi di vario genere, dedicati al florovivaismo e all’artigianato, scolaresche in gita, famiglie in festa. Ma in origine era molto di più.

Facciamo una capriola all’indietro nel tempo per ricostruirne la memoria, nascondiamoci sotto i lunghi rami dei cedri del Libano e facciamoci trasportare dal racconto dell’abate Luigi Campi che nel 1794 pubblicò Il Giardino Bevilacqua, una passeggiata osservativa attraverso il parco. Seguiamone lo sguardo. La sua descrizione è così verosimile che sembrerà di muoverci tra i sentieri, le verdi siepi, il muro di cinta così riccamente vestito che “il vederlo è difesa e il contemplarlo è diletto.”

Si contano ben sette ingressi, tra gli attuali corso Ercole d’Este e corso Porta Mare, tutti recintati da cancellate con elementi decorativi dorati, colonne di marmo e statue. “Entriamo per quella parte che dal palagio mette al giardino fra i piacevoli traguardi dei ferrati chiostri una dilettosa veduta si scopre, che l’occhio mena fra il vago intreccio di doppia selva di verdi e di statue di lontano fuggenti per lungo tratto di vaghissima prospettiva.”

All’interno, vialetti con terrapieni che si affacciano sulla campagna. Attorno, bianche sculture raffiguranti le quattro stagioni vicino a filari di aranci e cedri. Aiuole all’ombra dei bossi con fiori olandesi, trifoglio corallino, tulipani persiani dai petali viola e setosi, narcisi, giacinti, piante di menta, timo e frassinella. Sono così numerose le specie che l’abate fatica a distinguerle. Nicchie di verde, voliere con pavoni indiani e fagiani d’America, un potager con ortaggi, frutta ed erbe aromatiche disposti in modo accattivante. Un orto e “fra schietti arboscelli un’infinita copia di ripartiti vaselletti mollemente dispone, che la botanica industre coltiva, ond’essa spiega oltremarini prodotti, ed erbe montane, ed esotiche piante, e pellegrini fiori, che spuntano in qualunque stagione.”
Poco più in là, ci mostra una serie di cristallerie dove ricoverare d’inverno le piantine di fragole, piselli, asparago, ananas, aranci, cedri. Boschetti in miniatura con tempietti e tante statue, circa cento, alcune del Cignaroli. Raggiungiamo un terrapieno salendo gradini di marmo bianco che terminano con una balaustra e ci sporgiamo per vedere il passeggio dal Castello verso la campagna.
L’abate non nasconde stupore, anche noi. Lo seguiamo senza batter ciglio.

Sul vialetto scorgiamo la galleria degli uomini illustri, dove ogni busto è posto su una colonna marmorea sotto un archetto di rampicanti. Ecco l’Ariosto, il Boiardo, Giraldi, Bentivoglio, Brusantini, Guarini, Beccari.
Ci sono poco più in là anche due voliere, piene di uccellini di minuta taglia e bianche colombe. Poi un piccolo teatro e ancora un labirinto nel quale però non ci avventuriamo. Improvvisamente, l’abate ci mostra qualcosa di incredibile: a pian terreno del palazzo quattro stanzoni destinati ad attività di intrattenimento. Uno per il gioco della giostra, una sorta di quintana; un altro con un colombo di ferro che, munito di rostro, viene lanciato contro una sfera di legno, una specie di tiro al bersaglio; un terzo con l’altalena e un quarto con il gioco della navicella, un marchingegno sospeso e ruotante, simile ai seggiolini volanti delle giostre, “dove possono le genti a lor diletto spaziare.”
Vediamo un’arena con fiere scolpite nel marmo. Ecco il leone, il lupo, la tigre, il leopardo, il ghepardo, l’orso, la pantera. E poi ancora un baccanale con Bacco che tiene in mano il tirso e sculture di baccanti e di fauni. Non c’è un angolo in questo parco che non desti meraviglia!

E poi spicca l’imponente gruppo scultoreo del Cignaroli, raffigurante Nettuno col tridente e Teti che giace ai suoi piedi, corteggiato da Sirene e Tritoni. Nettuno sormonta quattro cavalli, forse leoni marini dalla coda squamosa, mentre quattro delfini abbracciano grandi conchiglie, spruzzando zampilli d’acqua che, con un gioco di vasche sottostanti, ricadono formando “..un imperturbabile laghetto, né i cui liquidi cristalli pare che specchisi il cielo, e di notte tempo quasi invaghite vi si lavino le stelle.. ma ritorniamo finalmente sul passo per uscire colà onde entrammo.”

La passeggiata dell’abate Luigi termina qui e quello che era il Parco Bevilacqua oggi è il nostro Parco Massari. Certo, molto diverso da allora, ma la storia lo giustifica. La fontana originale è stata distrutta, l’arredo esterno depredato dalle truppe francesi nel 1796, che obbligarono i Bevilacqua a lasciare Ferrara. Molto è andato disperso o distrutto per i danni arrecati in città dagli eventi bellici. Parco e palazzo erano purtroppo malridotti fino alla presa in carico da parte del Comune, impegnato nel recuperare a pieno come rinnovate gallerie civiche d’arte moderna le sale del sospirato Palazzo Massari, sulla scia dell’indimenticabile estroso eco del Maestro Franco Farina.


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