Chi è o era solito passeggiare, per svago o per lavoro, in via Palestro, ricorderà sicuramente che all’angolo con il Vicolo del Voltino c’era il salone di una parrucchiera. Chissà se più di recente avrà notato come quello spazio abbia cambiato completamente non solo aspetto da qualche anno, ma anche e soprattutto funzione. Lavatesta, phon e tinture per capelli hanno infatti ceduto il passo ad un nome del tutto originale: Manifattura Alimentare. Dal 2018 quella vetrina si è completamente trasformata, e ospita ora banchi frigo, ricchi di invitante pasta fresca (gnocchi, cappellacci, tortelli) rigorosamente fatta a mano e altre allettanti prelibatezze.
L’insegna bianca su bianco tra l’anonimo e il minimalista, quasi si nasconde sul marmo che circonda l’ingresso dell’edificio. Per notarla bisogna avere uno sguardo attento e, soprattutto, uno spirito curioso: una scelta, a ben vedere, non casuale, in perfetta linea con l’essenza del locale stesso e del suo gestore, Pierluigi Di Diego.
Il nome certamente non risulterà nuovo, anzi, al contrario: Piero, come lui stesso preferisce essere chiamato, è un volto noto in città (ma non solo). Chef stellato di lunga fama, a lui si devono piatti tra i più prelibati e raffinati, gli stessi che gli hanno fatto guadagnare la prestigiosa Stella Michelin. Piero è stato a lungo gestore dello storico ristorante Don Giovanni, assieme al collega Marco Merighi. Dalla sua chiusura, il locale rievoca un certo sapore nostalgico, non fosse altro perché i suoi piatti mancano ai palati che hanno avuto il piacere di assaporare le sue creazioni. Chiusi i battenti del celebre locale di Marrara, poi per anni nella prestigiosa sede della Sala della Borsa di Ferrara, Piero ha infine aperto le porte ad un nuovo inizio, ad un rinnovato concetto di accoglienza e di ristorazione, che rivoluziona le abitudini dei ferraresi, spesso impegnati ad etichettare ed inquadrare tutto ciò che hanno di fronte.
La Manifattura Alimentare sfida in pieno questa consuetudine: è infatti difficile classificare questo locale, che, a dispetto di come si presenta, non è un bistrot e non è nemmeno un ristorante. È una gastronomia gourmet che offre la possibilità di prendere cibo da asporto o di consumare quest’ultimo sul posto, nei pochi tavoli a disposizione all’interno. Ecco, allora, che assaporare i piatti del celebre chef è ancora possibile, e, ciò che più stupisce, è che lo si può fare stando comodamente a casa propria – certamente, una bella novità questa – o accomodandosi, in maniera più o meno informale, all’interno del locale stesso. Non è tutto: quest’ultimo offre anche la possibilità di fare un aperitivo, sorseggiando birra, vino o bevande analcoliche, il tutto accompagnato, di nuovo, dai celebri piatti di Piero. Chi avrebbe mai pensato di poter fare aperitivo a Ferrara con piatti degni di una Stella Michelin?
Un bel cambio di passo, questo, non soltanto per la nostra città e le sue abitudini, ma anche per lo stesso Pierluigi: c’è certamente una buona dose di differenza tra l’accogliere i propri clienti nel proprio ristorante, vedendo direttamente il gradimento dei piatti offerti, e il varcare la soglia delle loro case, non di persona, ma attraverso le proprie creazioni. Il minimo comune denominatore, tra un’esperienza e l’altra, rimane però sempre uno: la passione per la cucina.
Chiuso il capitolo del Don Giovanni, con un minimo di nostalgia, inevitabile quando ci si separa da qualcosa che ha regalato forti emozioni e grandi risultati, era necessario guardare avanti. Come ripete spesso Piero, “bisogna sempre guardare al domani, e mai rimanere fermi a ieri”.
Cambiata la formula, non è di certo cambiata la qualità né la ricerca del gusto, quello intenso, pieno, ricco di tradizione che conquista al primo assaggio. Non potrebbe che essere così, del resto: prima di tutto, prima di qualsiasi scuola di cucina e prima ancora di qualsiasi corso di alto livello, Piero si è formato seguendo le lezioni più vere: quelle di sua mamma. È con emozione che ricorda le domeniche mattina passate in cucina, a casa propria, ad aiutare sua madre a preparare la pasta, gli impasti, a seguire la cottura delle pietanze. Ed è con altrettanto entusiasmo che ricorda i profumi dei primi piatti preparati da lui, dapprima grazie all’aiuto, di nuovo, di sua madre, poi da solo. Chi inizia così, chi inizia a cucinare seguendo una passione vera, cercherà sempre di riproporre quella veracità di sapori che si può ritrovare solo nelle cucine delle nonne o delle mamme e cercherà sempre di trasmettere, con i suoi piatti, quella gioia e quelle emozioni che derivano proprio dalle prime esperienze. Così è per Piero, che al gusto (eccezionale), unisce la componente estetica, da grande chef quale è.
A testimonianza di ciò, basti osservare il bancone riccamente allestito con vari piatti, tutti preparati sulla base della stagionalità dei prodotti. Solo per citare qualche piatto, è eccellente il pesce spada tataki con verza e pinoli, ottimo il branzino in crosta di patate, perfetti gli spiedi di seppioline e gamberi, per non parlare degli spaghetti alla chitarra AOP (aglio, olio, peperoncino) su fonduta di reggiano (con chiare reminiscenze “dongiovanniane”). Tutto è preparato nel pieno rispetto della tradizione: non a caso, infatti, all’interno del locale si trova una scaffalatura di libri di cucina e ricettari che, come recita il cartello affisso sopra, si possono leggere e fotografare, basta averne cura.
Ecco, cura è l’imperativo categorico di Piero: vi è la cura nella preparazione dei piatti, vi è la cura nell’allestimento di ogni angolo del locale, dal bancone (che delizia già al primo sguardo), al già menzionato scaffale dei libri, dal frigo con la pasta fresca, allo scaffale dei prodotti locali promossi e venduti, alla disposizione dei (pochi) tavoli presenti all’interno per la consumazione sul posto, fino alla cura nell’accoglienza del cliente, che diventa vero e proprio ospite salutato sempre con il sorriso. La cura è anche nella promozione non solo dell’artigianalità, ma anche dell’artigiano stesso: sui cartelli affissi all’interno, infatti, ogni birra o vino viene promosso rimarcando il nome di chi li ha prodotti.
Non si può entrare qui e aspettarsi di bere una comune birra rossa o bionda che sia, piuttosto si entra qui per assaporare una Lost Road, la birra artigianale di Michele Massellani o i succhi, rigorosamente 100% frutta, di Marco Colzani, riproposti seguendo la stagionalità e la disponibilità che la natura offre. Come ripete spesso Piero, è fondamentale sapere cosa si beve, cosa si mangia, o come è stato prodotto ciò che si consuma. Se manca la conoscenza di base, se manca la cultura del “buon bere” e del “buon mangiare” non si potrà mai arrivare ad assaporare la vera essenza di ciò che si sceglie di consumare. Ed è proprio a questo che mira il celebre chef con la sua Manifattura Alimentare: ritornare a quel piacere di bere e mangiare bene, con gusto, che talvolta i locali fanno passare in secondo piano rispetto ad una più marcata abbondanza di piatti (fatto che non sempre è sinonimo di abbondanza di sapori).
Tutto all’interno del locale riflette e rispecchia lo spirito e l’essenza del celebre chef: nessun dettaglio è lasciato al caso. I dolci all’interno del frigo sono disposti con estrema cura, talmente perfetti che quasi è un peccato estrarli dalla vetrina per non scomporre l’allestimento; i vini sono disposti con altrettanta cura, con la premura di mostrare al pubblico le etichette non già per il vino in sé, ma, di nuovo, per promuovere l’artigianalità che ha prodotto quella bottiglia. L’angolo destinato all’aperitivo è curato in ogni minimo dettaglio, dalla disposizione delle piante al cartello che evidenzia tutti i vini, le birre, i succhi di frutta disponibili, tutti prodotti artigianali e di alta qualità, al giusto prezzo. “Le mani che lavorano per voi sono quelle di Piero, Laura [moglie], Francesco e Mattia [i collaboratori]” si legge nel cartello affisso in questo angolo: una frase notevole, che ricorda l’importanza di apprezzare il lavoro di chi accoglie nel proprio locale e di dare un nome a chi ci fa assaporare l’alta cucina.
Niente è lasciato al caso, come la scelta del green adottata: il packaging che accoglie i cibi da asporto è all’insegna del rispetto per la natura. Tutto è rigorosamente in materiale biodegradabile e naturale, dalle vaschette alle buste, per non gravare sull’ambiente con la nostra mano. Le tovagliette predisposte per chi mangia sul posto sono in carta stampata con inchiostro alimentare.
Piero sa distinguersi davvero in tutto. In un’epoca in cui il marketing, la promozione di sé via telematica e, soprattutto, i social imperano ovunque e diventano principali canali di pubblicità, lui sa ancora una volta differenziarsi, andando controcorrente: lontano da qualsiasi forma di tecnologia forzata, non presente su nessun social, nemmeno quelli più frequentati attualmente, Pierluigi ha consapevolezza di sé, sa cosa offre e sa che le cose belle vanno ricercate, vanno scoperte. Mentre ravvisa la mancanza, sempre più forte, di conoscere manu propria ciò che ci circonda, di sperimentare qualcosa di nuovo, Piero frena questa tendenza lasciando che siano la curiosità, lo spirito di iniziativa delle persone e la capacità di farsi ancora stupire a far conoscere il locale e di saperlo notare nello scenario altamente variegato e multiforme di Piazza Ariostea e di via Palestro.
Cosa ha spinto, però, Piero a scegliere una formula così diversa, a ben vedere anche lontana dal tradizionale ristorante di alta cucina stellata? Dopo un anno sabbatico, come lo definisce lui stesso, dalla fine della stagione del Don Giovanni, la voglia di rimettersi ai fornelli, di creare piatti gustosi e di farli assaporare alle persone si faceva sentire sempre più forte. Un giorno, passando per caso per via Palestro, nota il locale: è certamente tutto da rinnovare, bisogna cambiare la disposizione dei locali e ridare un aspetto nuovo a questo spazio, ma Piero è lungimirante e determinato, dentro di sé sa che questa sarà il luogo perfetto. E così è stato. L’esperienza del ristorante si era conclusa, e così doveva essere: l’importanza di celebrare la tradizione no – bisognava solo cambiare formula. Del resto, insiste Piero, “non ci può essere innovazione senza tradizione”. In un certo senso, la Manifattura Alimentare è l’emblema di tutto questo: tradizione nel gusto, nei sapori e nelle ricette, innovazione nell’idea e nel tipo di ristorazione adottato. Ecco perché la Manifattura Alimentare è il locale di cui Ferrara aveva bisogno e che va scoperto. Per chi ancora non lo conosce, vale davvero la pena provarlo.
INFO
Manifattura Alimentare è in via Palestro 73, a Ferrara.
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Instagram: https://www.instagram.com/manifatturaalimentare/