Personalità in testa: i cappelli di Roberto Lucchi, che piacciono ai vip

Foto di Giacomo Brini
Iscriviti al nostro canale Whatsapp

Quando l’ho incontrato poche settimane fa, in occasione di TEDxComacchio, Roberto Lucchi mi disse:

Il cappello è come musica. Io sono musicista. Un cappello nasce da un flusso creativo, non c’è un vero e proprio pensiero dietro, proprio come quando si suona. Ti lasci andare… e il cappello viene, come la musica. A volte la storia di chi mi chiede i cappelli è la musica stessa. La ascolto e la tramuto in oggetto. Bruno Mars mi ha fatto innamorare dei cappelli, collego a lui il mio primo ricordo, volevo una persona che li facesse anche a me! E io sono diventata quella persona. Richiede tanto impegno far capire l’intimità e l’identità di un oggetto in un mondo in cui tutto è intercambiabile. Il mio valore aggiunto non è nella costruzione del cappello ma nel saper ascoltare ciò di cui si ha bisogno e cosa si sta cercando in quel preciso momento di vita.”

Classe 1995, Roberto è diventato un cappellaio conosciuto, apprezzato e stimato non solo in Europa. Ha creato cappelli per celebrità come Johnny Deep, Alice Cooper, LP, Bob Sinclar, Andrea Bocelli, J-Ax, i Negramaro, Le Vibrazioni, Joe Bastianich, Ermal Meta, Irama e tantissimi altri. 

Incuriositi dalla sua personalità, abbiamo deciso di raccontare la sua storia, e in una caldissima mattina di luglio siamo andati a trovarlo a Ferrara presso l’Associazione La Quadra APS, dove stava allestendo in vista di un corso mentre il suo laboratorio si trova ancora a Codigoro, dove Roberto è nato. Al centro della stanza un grande tavolo da lavoro, in legno, con sopra appoggiato un ferro da stiro per lavorare i cappelli. Ci hanno colpito gli scaffali delle pareti, ricchi di tessuti, nastri, strumenti da lavoro e con una moltitudine di cappelli appesi, ognuno diverso dall’altro.

Foto di Giacomo Brini

Roberto, ci ha accolto con la solita simpatia e ironia che lo contraddistingue. Dall’animo tenace, estroso e vivace, indossa sempre dei vestiti che rispecchiano perfettamente la sua creatività. Il nostro amico cappellaio è un sognatore un po’ rock, in bilico tra poesia e anti-convenzionalità. Così, dopo un caffè, abbiamo iniziato una conversazione che si è allontanata da ogni tipo di formalità, e ha lasciato spazio a tutto ciò che lui ha voluto raccontarci.

Foto di Giacomo Brini

Come è iniziata questa passione che si è trasformata poi in una vera e propria professione?
Ho iniziato nel dicembre 2017, con una buona dose di incoscienza. Sì, incoscienza è la parola giusta. Io sono anche musicista, e, suonando sentivo questo forte desiderio di indossare qualcosa che potesse esprimere in maniera potente il mio animo artistico. Avevo voglia di qualcosa che fosse più di un semplice oggetto. È stato allora che ho iniziato a mettere i cappelli. All’inizio per gioco, per istinto. Da subito mi sono reso conto che quel semplice gesto aveva un potere enorme: cambiava il mio modo di stare nel mondo. Ogni volta che indossavo un cappello sentivo di mostrare una parte di me. E così, mi sono chiesto: se avessi un cappello davvero mio, personalizzato, cucito su di me, quanto potrei dire di me stesso semplicemente indossandolo? Non ho trovato nessuno in Italia che potesse farmelo. Così ho dato io una svolta. 
Sono iniziati vari viaggi nel suolo toscano. Proprio lì, ho visto un cappellificio dismesso: scaffali pieni di oggetti, strumenti ormai dimenticati, forme in legno consumate dal tempo ma ancora cariche di storie. In quel momento ho capito che ero nel posto giusto.

Come funziona la tua giornata lavorativa, oggi?
Non mi occupo solo di cappelli, gestisco il business a trecentosessanta gradi. La mia giornata è un equilibrio continuo tra parte creativa e parte gestionale. La mattina la dedico soprattutto all’organizzazione: vado in studio, controllo gli ordini, coordino il lavoro con collaboratori, seguo i clienti, rispondo alle e-mail, mi occupo della comunicazione e delle strategie. È una fase fondamentale, perché un progetto artigianale oggi non può esistere senza una visione imprenditoriale chiara. Il pomeriggio, invece, è il momento in cui riesco a entrare nel mio mondo. Metto le mani sui cappelli e lavoro sulle forme, sui materiali, sui dettagli. Ogni cappello ha una sua procedura, un suo ritmo, e va rispettato. Alcuni richiedono concentrazione estrema e precisione millimetrica, altri più libertà e intuito. 

Inserzione pubblicitaria

Foto di Giacomo Brini

Con che tipo di clienti hai a che fare?
I miei clienti sono tutti legati da un filo rosso: possedere un animo creativo.  Io, attraverso i miei lavori, favorisco un’estensione di questa personalità artistica. Devo dire che sono molto disparati, da giovani a più adulti. C’è chi vuole trovare la propria identità, chi l’ha già trovata e vuole mostrarla attraverso un cappello, ma anche chi si affida a me solo per un’esigenza estetica. Il cappello, in ogni caso, diventa una dichiarazione d’intenti.

Se un cappello potesse raccontare una storia, quale sarebbe? Quale storia ti ha emozionato di più creare?
Se devo essere sincero, non c’è un cappello che mi ha emozionato più di un altro. Ovviamente ricordo con felicità il cappello fatto per il primo “vip”, che è stato J-Ax! Volevo farlo per lui, ho tenuto botta… me lo sono sudato e conquistato, facendomi poi conoscere. Al di là di questo, ciò che mi emoziona intimamente sono le persone che si siedono, mi parlano e si aprono raccontandomi chi sono. 
Facendo questo lavoro mi sono accorto ancor di più quanto ognuno di noi abbia un mondo interiore bellissimo. Io quindi ascolto e divento un canale. Certo, devo essere bravo io… ma soprattutto la persona che si apre con me.

Se potessi collaborare con un personaggio di un’altra epoca, chi sarebbe?
Se potessi collaborare con un personaggio di un’altra epoca, sceglierei senza esitazione Michael Jackson. Per me non è solo una leggenda della musica, ma un’icona di stile. Ogni sua apparizione era un evento estetico. Avrei voluto completare i suoi outfit creando per lui un cappello non solo scenografico, ma anche narrativo: qualcosa che potesse raccontare le sue metamorfosi, le sue luci e le sue ombre.

C’è un materiale che hai sempre voluto usare ma che ancora non hai avuto l’occasione di sperimentare?
Sì, la plastica riciclata. È un materiale che mi affascina da tempo, soprattutto per il suo potenziale simbolico: prendere qualcosa di scartato, di abbandonato, e trasformarlo in un oggetto unico, prezioso, con una nuova vita. L’idea mi attira molto, ma non l’ho mai davvero perseguita fino in fondo. Richiede tempo, ricerca, sperimentazione, e anche la collaborazione con chi lavora nei materiali in modo tecnico e innovativo. Vorrei trovare una plastica riciclata che sia piacevole al tatto ed esteticamente interessante.

Foto di Giacomo Brini

Che rapporto hai con l’imperfezione nei tuoi lavori?
Io sono molto precisino. La differenza tra un professionista e un amatore sta proprio nel dettaglio, che sembra impercettibile ma non lo è. Ci sono poche cose che devono essere perfette. In questo mestiere tecnica ed istinto contano in egual misura. Si completano; senza la tecnica l’istinto non viene veicolato e senza l’istinto la tecnica non è niente.

Foto di Giacomo Brini

Le tue masterclass stanno avendo un successo notevole. Te lo aspettavi?
No, non me lo aspettavo. Si sono già iscritte 300 persone, e alcune tra queste vengono anche da molto lontano! Di recente è arrivata una ragazza da Miami. Altre da Dubai, Australia, Canada e anche Messico. È bello essere il punto di riferimento italiano per il cappello artigianale, mi dà molta energia perché è uno scambio continuo.

Foto di Giacomo Brini

Se dovessi creare un cappello per la tua infanzia come sarebbe? E per la vecchiaia?
Per l’infanzia ti direi qualcosa di bianco sporco, con un po’ di azzurro e non troppo formato. Ti dico questi colori perché ero un bambino puro, sincero e diretto. E anche per la vecchiaia ti direi lo stesso perché la vita è un cerchio, che si apre e si chiude. I colori e le forme si richiudono su se stessi, a simboleggiare un ritorno alla semplicità e all’essenza da cui tutto è cominciato. Per questo momento preciso di vita invece ti direi…questo qui!

Foto di Giacomo Brini

MORE INFO:
https://robertolucchi.com

Iscriviti al nostro canale Whatsapp
Lascia un commento Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articolo precedente

Lo straordinario monumento Massari nella Certosa di Ferrara

Articolo successivo

Piscina e campi, torna lo storico Zeta Club: il tennis ferrarese ha una nuova casa

Inserzione pubblicitaria