La fotografia può assumere svariate funzioni: riconoscimento, testimonianza, appartenenza, identificazione, documentazione, mediazione. Però, principalmente è sguardo. Un occhio fine, allenato, penetrante e allo stesso tempo non invadente, curioso e un po’ fanciullesco, è quello di Guido Harari. Cinquant’anni di fedele simbiosi con la fotografia sono testimoniati dalla mostra Guido Harari. Incontri. 50 anni di fotografie e racconti a Palazzo dei Diamanti, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e il Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara con Rjma Progetti culturali e Wall Of Sound Gallery.
Ed è proprio il registro dell’incontro una delle possibili chiavi di lettura di questa antologica che comprende oltre 300 fotografie, installazioni e filmati originali, proiezioni e incursioni musicali.
Guido Harari (1952) ha sempre privilegiato l’incontro e il soggetto, affidandosi all’intuizione del momento. Per lui fotografare significa vivere più vite, diventa l’essenza stessa della vita, una seconda natura, una seconda pelle si potrebbe ipotizzare. Annie Leibovitz – fotografa che lo stesso Harari ha dichiarato di ammirare e di seguirne l’esempio – in un’intervista rilasciata tempo fa, ha affermato che la fotografia è come un neonato, che deve essere nutrito spesso, bisogna raccontargli storie e curarlo. Ecco, Harari racconta storie, mostra una moltitudine di vissuti, custodisce intrecci di vite e porta il nostro sguardo su un eclettico caleidoscopio di esperienze. Storie di persone e di passioni, attimi ed espressioni immortalati elegantemente sulla pellicola, spesso nella forma del ritratto, considerato dal fotografo l’arte dell’incontro, “se non si è curiosi dell’altro, se non si è pronti a estroflettersi verso l’altro riconoscendolo come già parte di sé, allora non ci sono né tecnica né stile che tengano”. Una modalità di incontro emozionale e intuitiva.
I protagonisti dei suoi scatti sono innumerevoli, ma spiccano maggiormente coloro che appartengono alla musica. Le sue fotografie sono finestre che aprono un solco in questa dimensione, che è un connubio creato dalla magia e dalla realtà. La musica – l’ineccepibile collante che mette in relazione il mondo intero – ha un ruolo vitale per Harari, è gioia e inclusione, è scudo di vita e cultura. Fin dagli anni Settanta il suo nutrimento è stato il rock “il suono dell’utopia”, alcuni protagonisti della Beat Generation come Allen Ginsberg, il cantautorato italiano, come i versi anarchici e le note musicali di De André, e tanti altri protagonisti della musica e del cinema.
Guido Harari crede fermamente nel potere dell’immaginazione e nella forza delle relazioni. Il suo approccio poco costruito e la scelta di abbandonare qualsiasi impostazione, di mostrarsi a sua volta vulnerabile, gli hanno consentito di captare aspetti intimi e visivamente potenti, forse in alcuni casi, sconosciuti ai soggetti stessi. L’obiettivo di Harari non è mai stato quello di costruire nel tempo uno stile riconoscibile, anzi. Ciò che gli preme maggiormente è il soggetto, cogliere l’unicità di chi si trova davanti. Come la totale sintonia tra Laurie Anderson e Lou Reed, il carattere genuino, solare e un po’ giocoso di Lina Wertmüller, la malinconia di Fabrizio De Andrè, il magnetismo dei Rolling Stones, la sensualità e il fascino eterno di Ute Lemper, la genialità degli Elio e le Storie Tese, la ribellione di Sinéad O’Connor, solo per citarne alcuni esempi.
Il percorso della mostra è un viaggio tra la fisicità e la vulnerabilità dei musicisti, tra icone di una vita “senza libretto d’istruzioni”, tra registi e attori, nonché personalità del mondo della cultura. Un’esplosione di energia e particelle musicali, densità dei colori, sensazionali chiari e scuri, ma soprattutto, sogni e desideri. Tutto ciò è completato da una sezione dedicata alla curatela di libri, una passione che per Guido Harari è l’equivalente del fotografare senza la macchina fotografica e arricchito da un’altra sezione Occhi di Ferrara, dedicata ai ritratti che vengono realizzati (su prenotazione) nella Caverna Magica, un set fotografico allestito alla fine del percorso espositivo.
Parallelamente all’esposizione dedicata a Guido Harari, nella seconda parte degli spazi di Palazzo dei Diamanti, ossia nelle sale dell’ala Tisi è allestita la mostra Thesauros del pittore e disegnatore Agostino Arrivabene (1967). L’autore considera le sue opere come doni votivi e la sua pratica artistica come una tensione verso il divino e in effetti, il titolo è un rimando ai piccoli edifici che venivano offerti alle divinità nella Grecia antica. Quaranta opere realizzate dal 1985 a oggi propongono temi mitologici e allegorici rinnovati, argomenti sacri e letterari sulla scia di un mondo onirico, intriso di riferimenti simbolici ed esoterici. Il lavoro esposto si inserisce in un’ampia categoria che comprende il mistero della natura, della vita terrena e di quella oltre la morte, e ci restituisce una realtà nuova, potente e mutevole.
I sette giorni di Orfeo (1996) è un’opera ricca di spunti mitologici e allegorici. Oltre alla vicenda di Orfeo, è la Natura l’altro protagonista della raffigurazione. Essa trasforma i fiori nella corona che si vede sulla testa di Orfeo, così come cerca di confortarlo, avvolgendolo nelle rose. La figura, che per certi versi ricorda alcuni lavori del pittore francese Gustave Moreau, assorbe completamente il nostro sguardo, proiettando il visitatore in una dimensione altra, lontana e ineffabile.
Presente anche un evidente omaggio all’Officina ferrarese, nello specifico Arrivabene ha avuto modo di studiare attentamente, durante la sua formazione all’Accademia di Brera, la pala Portuense di Ercole de’ Roberti. Ne è esempio Il sogno di Asclepio (2015), opera eseguita su una tavola del Seicento, nel quale l’interpretazione del paesaggio si arricchisce della citazione del sogno tratto da uno dei Discorsi sacri di Elio Aristide.
Guido Harari. Incontri
50 anni di fotografie e racconti
e
Agostino Arrivabene. Thesauros
Ferrara, Palazzo dei Diamanti
16 luglio – 1 ottobre 2023
Aperto tutti i giorni (anche 15 agosto), dalle 11.00 alle 20.00
Informazioni e prenotazioni: tel. 0532 244949 | diamanti@comune.fe.it www.palazzodiamanti.it