

“Si, in effetti ci stavo riflettendo proprio ieri sera” riflette Francesco Bottazzi, musicista nato a Ferrara e ora residente a Treviso, mentre racconta il suo percorso che ha portato a “Still” primo album solista, dopo diversi anni di progetti a più mani.
La domanda era se avesse avuto anche lui la sensazione che questo album, che si muove sul territorio della musica elettronica e ambientale, non sembri appoggiarsi involontariamente sopra a questi devastanti giorni in cui la guerra ha smesso di essere parola ferma sui libri di scuola, lontana, distante e feroce compagna di un mondo diverso dal nostro.
“Riviste con il momento attuale, certe cose che escono con il disco cambiano di prospettiva. Penso a canzoni come Cianotico oppure Prisma: canzoni che volevano descrivere una mia sensazione interiore, di malinconia, di angoscia, di essere senza ossigeno, proiettate all’esterno su quello che sta succedendo in Ucraina diventano ancora più buie, ancora più angoscianti”, ci spiega.
Tutto potrebbe nascere da un parallelo, perché l’album nasce nella primavera del 2020, quella in cui alle sei di ogni sera si sparava la musica dai balconi e si spiegava che “sarebbe andato tutto bene” e in cui Francesco si chiudeva invece nella propria stanza a sperimentare e osservarsi dentro.
“Sono abbastanza sicuro che sia slegato dal Covid, era una esigenza che già avevo” racconta, e quell’abbastanza ha il sapore dell’incertezza che abbiamo nel capire se esista un destino che possiamo manipolare o se il tempo, i fatti e questa vita non siano soltanto qualcosa che ci arriva addosso, giorno dopo giorno, come onde su cui provare a fare surf.
“Il disco nasce dalla scoperta e dalla voglia di studiare la Pedal Steel, una chitarra molto particolare, che si suona da seduti come fosse una tastiera usando anche i piedi, e allo stesso tempo da un percorso fortemente interiore: era il momento in cui mi stavo chiedendo se aveva ancora senso questa ricerca, questo percorso, questo tempo dedicato alla musica e alla scoperta di suoni. Allo stesso tempo tutti quegli echi, quei riverberi che si sentono sono probabilmente echi di stanze dentro di me che non erano ancora illuminate.”

I primi anni del rapporto tra Francesco e la musica sono classici, quasi scontati: il pianoforte alle elementari e poi il Conservatorio fino all’arrivo alla Scuola di musica moderna con Roberto Formignani una strada puntata diretta sulla chitarra e sul blues. Da lì l’approdo ad una band tributo a Fabrizio De Andrè, dal nome Jamina, che gli consente di entrare nel circuito della fondazione del cantante genovese, che si muove per diversi anni sul territorio. Un rapporto con De Andrè e con il cantautorato che somiglia ad una sfida personale, per l’avversione che si sviluppa quando si studia uno strumento, dove la voce sembra un artificio semplice che sovrasta la vera musica: “ero semplicemente immaturo io, poi ho compreso il valore e il sentimento che stanno dentro alle parole e alla voce”, confessa.
“Mi sono trasferito a Treviso per lavoro ma Ferrara torna sempre, ciclicamente: fui contattato per un progetto che nel frattempo avevo intrapreso a quattro mani che univa musica etnica ed elettronica, che ebbe occasione anche di essere la colonna sonora di un evento dedicato ai 500 anni dalla morte di Lucrezia Borgia, chiamato L U X R E T I A“.
Quel momento del 2020 di riflessione unisce diverse strade. Francesco racconta della passione per i viaggi e per la natura, delle lunghe camminate e della bellezza di aprirsi a suoni del mondo, suoni che sono finiti anche in Still, titolo dell’album e primo di un progetto artistico solista dal nome Zarmoi.
“La pedal steel guitar, la musica elettronica e quello che viene chiamato il “field recording” ovvero la registrazione di suoni e voci nel mondo, sono le tre basi che mi hanno portato a queste canzoni. Canzoni che poi furono abbandonate in un cassetto, per tornare l’autunno successivo come se non fossero mie: funzionavano, ma non mi ci riconoscevo, come se fossero opera di qualcun altro.”

“La decisione è stata quella di contattare persone di Ferrara, tornando a casa: ho cercato vecchi amici e artisti della città, sono arrivato a scegliere Samuele Samboela Grandi per il mixaggio e il mastering a Sonika, concluso sul finire del 2021, un percorso che mi ha riportato alla mia città e alle persone che ci vivono. L’idea è di cercare di portare l’ascolto fuori, un percorso che sia personale dal punto di vista di chi ascolta, non necessariamente il mio.”
E qui torniamo a quella domanda: ascoltare Distrutto con le immagini di un reportage di Francesca Mannocchi cambia tutta la percezione del disco: pare suonare come l’eco che si diffonde tra le macerie, onde sonore sparse lungo sassi che erano muri. Ne parliamo con Francesco, pensando a parole lette in un libro la sera precedente, mentre Francesco pensava a questo disco e all’attualità:
“Voglio dire, siamo abituati a dialogare con opere culturali collocate “nel presente”. Ma questo sentimento di presente continuo ha smesso di essere una caratteristica delle nostre vite. Il presente è diventato discontinuo. […] Tanto che, guardando i personaggi di un film seduti a cena o in giro in macchina, impegnati a architettare omicidi o afflitti per le loro vicende sentimentali, proviamo spontaneamente il bisogno di sapere in quale momento preciso stiano facendo queste cose rispetto agli eventi storici catastrofici che strutturano il nostro attuale senso della realtà. Non esiste più lo scenario neutro. C’è solo la timeline. Non so proprio se questo darà luogo a nuove forme d’arte o se delle arti segni semplicemente la fine – quantomeno delle arti così come le conosciamo oggi.”
sally rooney, dove sei, mondo bello
“È vero – riflette Francesco – il presente è talmente variabile che è che inevitabile che tutto ciò che viene prodotto venga poi riletto, anche in maniera molto diversa da come è stato pensato.”
Prima di salutarci, gli chiediamo cosa pensa possa diventare questo oggetto, questo disco sospeso tra suoni che fanno pensare a John Hopkins o Nicholas Jaar.
“Per la complessità dell’album e per scelta personale, non è un album che nasce con l’idea di un live canonico. Probabilmente mi piacerebbe che la scia di questo lavoro diventi la colonna sonora di qualcosa, anche perché è nato come colonna sonora di un mio viaggio personale. Se fattibile sarebbe bello portare delle performance dell’album o della singola canzone in luoghi all’aperto e magari registrare audio e video, andando in qualche posto che sia un Altrove, come la prima canzone del disco, come l’album ha suoni di ciò che ci circonda, rievocare quella sensazione durante una esperienza dal vivo.”

Zarmoi è il progetto solista del chitarrista, polistrumentista e compositore ferrarese Francesco Bottazzi, nato nel 2022 fondendo musica ambient ed elettronica.
Il primo album “Still”, è uscito su tutte le piattaforme digitali il 20 marzo 2022.
L’album si può ascoltare su Spotify
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Classe 85, vive a Ferrara da vent’anni. Secondo il profilo ufficiale è Infermiere, nel contempo si occupa da anni di giornalismo con l’idea di cercare di raccontare il mondo da una angolazione sempre nuova, con spirito critico ma rivolto al meglio, al domani e al possibile. Ha scritto un romanzo, si chiama “Sfumature” e si occupa di musica con una newsletter settimanale, live report e altro.Qui su Filo, articolo dopo articolo tenta di costruire un mondo più informato, consapevole ed ottimista o, almeno, aderente alla realtà.

Bell’articolo che porta a riflettere oltre la musica di Zarmoi.