La moda è decisamente un settore ambivalente, tra industria e genio; oggi possiamo evidentemente leggere questa forte antitesi nel costume. Non è facile affermare quale aspetto prevalga sull’altro: la moda non è Zara, ma non è nemmeno più la passerella di Chanel, o il vestito di bistecche che il compianto Alexander McQueen disegnò per Lady Gaga. Ad ogni modo, quello che abbigliamento ed accessori non smetteranno mai di essere è un’importante percentuale nella definizione del sé. Inutile raccontarsi di essere outsiders, e di non seguire in nessun modo lo stile comune, perché è chiaro che si tratti di una presa di posizione debole; la moda è fatta di sottoinsiemi che ci danno anche la possibilità di costruirci un sé che risulti “fuori moda”.
Il caos della contemporaneità ha fagocitato fascino, portamento, eleganza e eccentricità per servirceli sotto forma di catene low-cost e rivenditori online che fanno a gara per consegnare per primi i pacchi ai loro clienti. Ma ci sono stati anni in cui lo sviluppo del linguaggio non verbale del costume aveva un sapore molto diverso, tra l’artigianato e l’arte, tra la rivoluzione sociale e la costruzione di nuove consuetudini.
Il picco, la vera nascita della moda nel suo sistema, l’embrione di ciò che conosciamo oggi, risale alla fine dell’Ottocento, quando i grandi couturier iniziarono a farsi chiamare per nome. Worth, Poiret e compagni non erano più i soliti sarti al servizio degli eccentrici gusti delle dame; erano artisti, erano i creatori, e i loro nomi sugli abiti diventavano una garanzia.
L’arte, dal canto suo, ha sempre avuto un rapporto ambiguo con il costume. Quel settore così frivolo e capriccioso non ha mai convinto del tutto il temperamento raffinato del genio artistico; eppure, incontrandosi, arte e moda hanno generato capolavori senza tempo.
La Fondazione Ferrara Arte e le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea – Museo Giovanni Boldinici danno la possibilità di osservare da vicino il valore dello sposalizio tra arte e moda nella mostra Boldini e La Moda, visitabile dal 16 febbraio al 2 giugno al Palazzo dei Diamanti. Un percorso cronologico e tematico, dalla fine dell’Ottocento alla vigilia della Prima Guerra, capace di immergere il pubblico in un raffinato passato fatto di preziosi tessuti, dettagli impeccabili e pose delicate. Complice del successo di questo ricercato stile di vita, Giovanni Boldini ritrae con perizia i protagonisti dell’epoca fino a farsi definire “pittore della donna moderna” dalla rivista di moda Femina. – Ci siamo proposti di studiare a fondo l’opera di Boldini per trovare una nuova maniera di raccontarla, in vista del riallestimento della collezione ferrarese a Palazzo Massari; – spiega la direttrice di Ferrara Arte, Maria Luisa Pacelli – analizzando opere e documenti ci siamo resi conto di quanto sia stata determinante la sua figura nella nascita di un immaginario specifico, legato alla moda. A volte è utile ricordare e considerare anche le critiche negative espresse nei confronti dell’artista, dai suoi contemporanei, per capirne le importanti peculiarità. Boldini venne spesso accusato di essere troppo alla moda; così è nato il desiderio di mostrare questo percorso tra arte e costume, che lo vede protagonista.
Le dive sensuali, ritratte dal pittore in pose quasi manieriste, si alternano ai dandy raffinati dall’eleganza inglese. Abiti d’epoca ed accessori significativi intervallano il percorso tracciato dalle opere; le grandi teche di vetro che li contengono sono contornate dal motivo ricorrente dell’esposizione, lo specchio. Emblemi della vanità, accessori tipici della moda, gli specchi creano potenti giochi di luce dando nuova forma alle ben note sale del Palazzo dei Diamanti.
Il percorso espositivo è scandito da importanti contributi letterari al caso della moda, frutto della penna di intellettuali della portata di Baudelaire, Henry James, Oscar Wilde, Montesquieu, Proust e D’Annunzio. Se il primo sottolinea il valore aggiunto dell’abito moderno, sulla bellezza transitoria e fuggitiva, il secondo racconta l’ambivalente importanza della moda nella costruzione della propria personalità e, di conseguenza, nella definizione del proprio ruolo in società. In entrambi i casi, Boldini traduce in immagini brame e sensazioni facendole emergere dagli occhi concentrati delle dame e dalle sorprendenti, infinite sfumature e texture di colore nero che è in grado di riprodurre. Si prosegue allontanandosi geograficamente dall’eleganza femminile parigina per sancire il ricercato buongusto del dandy anglosassone, ben descritto dalle opere di Oscar Wilde.
Robert de Montesquiou rappresenta la consacrazione di Boldini come pittore della donna e della moda. Nel 1901 inizia la collaborazione con Les Modes, rivista di moda ed arte che pubblica i suoi ritratti rendendoli ancora più celebri e desiderati. Boldini conferma la fama di importanti personaggi pubblici e le ricche signore smaniano per essere i suoi soggetti. La curatrice Barbara Guidi ci racconta di abiti scelti dal pittore, poi scartati e sostituiti mille volte fino alla supplica della dama di turno nel tentativo di convincere l’artista a confermarne almeno uno, che andrà benissimo. Boldini fa la moda, non la ritrae semplicemente, la costruisce passo passo attribuendole sensualità ed accessori, charme e spalle scoperte. Proprio questi dettagli lascivi gli procureranno rifiuti e critiche da parte dei mariti gelosi; costretto controvoglia a sovrapporre pellicciotti e risistemare spalline cadute, Boldini non smise mai di rappresentare il vero spirito della sua epoca, fatta anche di queste evidenti contraddizioni.
Mozzafiato i velluti porpora e rosati della sala introdotta dalle parole di Proust. Gli abiti da gran sera attraversano i ricordi del letterato, nei lussuosi salotti parigini. L’eleganza in rosso di Miss Bell, olio su tela del nostro pittore, accanto alle eccentriche calzature della contessa Greffuhle, parlano di un’epoca affettata e formale quanto creativa e soddisfatta.
Infine lasciamo corsetti e costrizioni in favore dei morbidi tagli orientali rappresentati da due eccezionali tuniche di Eleonora Duse. Le divinehanno già imposto la loro presenza accettando e costruendo i canoni della moda assieme al loro pittore prediletto. Un ormai settantenne Boldini continua a registrare gli ultimi cambiamenti del costume senza mai perdere le sue peculiarità stilistiche. I suoi visi espressivi e levigati, le sue pose costruite, gli ambienti mondani, sono la rappresentazione romanzata della sua contemporaneità, che nessuno di noi avrebbe mai potuto vivere altrimenti. Quell’epoca e quello stile ispirano ancora stilisti e fotografi, come prova l’abito di John Galliano per la Maison Dior esposto proprio all’inizio della mostra.
Conclude la ricerca contemporanea di Nives Widauer nella sala adiacente al bookshop, visitabile fino al 7 aprile. L’artista svizzera presenta una sua versione in vetro delle dame di Boldini, piccole sculture colorate con importanti cappelli, accanto ad una serie di collage rivolta all’indagine della contemporaneità. Utilizzando abitini di bambole, reperiti qua e là, la Widauer costruisce figure irrequiete ed abbozzate, appena inquietanti, antropomorfe ed imprevedibili.
Un viaggio tra le consuetudini del costume che mi restituisce alla realtà con una punta di amarezza. Addosso ho il mio maglione H&M, i pantaloni di Zara consegnati a casa, in soli 2 giorni dal corriere. Nessun enorme cappello eccentrico su Corso Ercole D’Este, nessun drappeggio in velluto rosso, nessuna carrozza che ci accompagna all’opera… Come il protagonista del film di Woody Allen Midnight in Paris, io e Claudia ci incamminiamo verso le nostre biciclette, stranite, sperando che la carrozza passi e ci rapisca. Fossi in voi, dopo aver visitato la mostra, mi attarderei qualche minuto davanti all’ingresso, che non si sa mai quale sia il confine tra sogno e realtà.