Il silenzio del lockdown ha cullato dolcemente Ferrara, riportandola in dietro nei tempi in cui l’attività umana era meno intensa e priva delle rumorose tecnologie che oggi inquinano il nostro paesaggio sonoro. Ora, ascoltando il vento che spira tra le vie sembra di percepire l’eco di voci e strumenti che intonano musiche sfuggenti e di difficile attribuzione. Forse è il vicino che sta ascoltando un vecchio disco, forse è la memoria storica della nostra città che si rivela a noi per proporci nuovi spunti di riflessione.
Ascolto attentamente: sembra trattarsi del madrigale T’amo mia vita, composto da Luzzasco Luzzaschi, su lirica di Battista Guarini, per il Concerto delle Dame e dato alle stampe nel 1601 nella sua raccolta Madrigali per cantare e sonare, a uno, doi e tre Soprani.
Il Concerto delle Dame, emblema del prestigio artistico raggiunto dalla Corte di Alfonso II, era una ensemble femminile formata da virtuose che combinavano la prassi vocale a quella strumentale (arpa, liuto e viola da gamba). Anche se troviamo riscontro di una pratica femminile già tra il 1561 e il 1562, il gruppo raggiunse una piena maturazione nel 1583 con la formazione di un organico ottimale formato da tre dame: Laura Peperara, Anna Guarini e Livia d’Arco. Le loro esibizioni, presto celebri in tutta Italia, rientravano nella così detta “musica secreta”, ovvero esecuzioni ad esclusivo appannaggio dei membri della Corte e degli illustri ospiti introdotti dal Duca.
Ripercorrendo le vicende del Concerto, le fonti riportano in luce alcune vicende che oggi, nei giorni della pandemia e del lockdown, sollecitano il nostro interesse. Ferrara all’epoca, nonostante i piani di bonifica promossi dagli Estensi, era una zona paludosa. Pertanto, oltre alle molte epidemie di pestilenza che colpirono la città tra il Medioevo e il Rinascimento, la malaria da Plasmodium falciparum costituiva una delle principali cause di morte.
Appellata come «febbre terzana» (cioè «che compare a giorni alterni, ossia ogni terzo giorno se nel conteggio si calcolano entrambe le giornate in cui si verificano due accessi febbrili consecutivi») veniva generalmente curata con salassi. Questa pratica nasceva dalla concezione medica degli umori e dei temperamenti, secondo la quale il corpo umano, oltre che da carne, ossa e muscoli era formato da quattro umori fondamentali (bile gialla, bile nera, flemma e sangue) che andavano mantenuti in equilibrio al fine di preservare la salute psicofisica. Quando l’equilibrio tra gli umori si alterava insorgeva la malattia che andava curata aiutando il corpo ad espellere l’umore in eccesso servendosi del salasso e, per curare gli stati dell’anima, della musica. Il potere terapeutico di quest’arte fu preso in esame anche dai trattati medici inerenti le pratiche per contenere e curare la peste: Nicola Massa nel suo Liber de febre pestilentiali… (Venezia, 1550) prescriveva di ascoltare musica per scacciare la paura e svagare la mente.
Tornando alle fonti relative alle vicende ferraresi, apprendiamo che nel settembre 1582 Alfonso II e la consorte Margherita Gonzaga furono colpiti da febbre mezzana. Al fine di alleviare le pene della degenza il Duca fece allestire in camera della moglie un secondo letto per sé e richiese l’intrattenimento musicale delle dame. Non sappiamo, in questa occasione, per quanto tempo si esibirono ma, grazie a testimonianze relative ad altri intrattenimenti, possiamo ipotizzare che furono impiegate per tutta la durata della convalescenza.
Questa labile fonte evidenzia un consumo della musica molto simile a quello odierno: oltre a rientrare nel piano terapeutico dei ricoverati presso il reparto Covid del Policlinico S. Orsola di Bologna, la musica ha costituito il principale antidoto alla noia da “clausura” per milioni di persone nel mondo.
Un più triste evento mette in relazione le vicende del Concerto delle Dame con l’attualità: nel novembre 1583, in occasione della visita della duchessa di Parma, Livia d’Arco e Anna Guarini furono costrette a cantare seppur «mal trattate da febbre». Da ciò emerge la fondamentale importanza ricoperta degli intrattenimenti musicali nel cerimoniale e nella vita cortigiana estense, tale da mettere in secondo piano la salute dei musici. Uno status di subordinazione che ricorda, seppur in modo diverso, lo sfruttamento e le difficili condizioni lavorative dei musicisti e dei lavoratori dello spettacolo, drammaticamente accentuate dai provvedimenti necessari al contenimento del Coronavirus. Artisti ai quali è stato chiesto di regalare la loro arte sui social o sui balconi, in nome della funzione sociale e terapeutica ricoperta della musica. Ideali di bellezza e armonia dimenticati quando si parla di politiche previdenziali e diritti di questi lavoratori.
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