diario di viaggio e foto di Dario Nardi – terza puntata
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Quando iniziamo ad intravedere gli eleganti palazzi della nuova meta, Il famoso promontorio di Gibilterra e il profumo di tonno alla griglia di Zahara sono ormai alle nostre spalle da parecchi chilometri: Siviglia!
È una delle prime soste non accompagnate dalle onde, come siamo abituati ormai da settimane, la strada costiera compie infatti una brusca virata verso l’interno per schivare il prezioso parco della Doñana. Per il bene del parco e per sfortuna nostra, senza permessi speciali non è possibile attraversare questo che è uno dei parchi naturali più grandi e ben custoditi d’Europa. Oltre che per goderci la sua bellezza, Siviglia sarà teatro del primo cambio in staffetta del lungo progetto. Da qui infatti ci abbandona il grande Roby, il nostro fidato driver dell’esercito, per lasciare la cabina di pilotaggio all’impeccabile Paolino. Già grande veterano dei viaggi di 7milamiglialontano, deve ancora mettere il piede sull’acceleratore che già tutto il gruppo è li che si domanda goliardicamente se sarà mai pronto a raggiungere la perfezione logistica del suo predecessore (si dimostrerà poi in grado di smentire tutta la nostra ironia con i fatti).
Lasciato l’aeroporto di Siviglia ci dirigiamo verso uno dei pochi campeggi vicino alla città. Per la tipologia di viaggio che stiamo affrontando il problema principale per il pernottamento presenta il suo conto sempre nelle grandi città, in questi casi infatti risulta sempre molto difficile trovare un luogo tranquillo e sicuro dove aprire le nostre tende, ci tocca quindi tornare alla civiltà e goderci le comodità di una piazzola numerata.
Siviglia ci accoglie tirata a festa, sapevamo essere in piena “semana santa” ma non avevamo di certo calcolato di arrivare esattamente nell’ora e nel giorno di maggior movimento. La città così addobbata è ancora più bella di come me la ricordassi, una infinita cerimonia che si dirama in tutti i vicoletti della città. La semana santa è uno degli avvenimenti più sentiti dell’anno e i sivigliani colgono l’occasione per sfoggiare il loro vestito migliore, dai bambini agli anziani è tutto un susseguirsi di giacche, cravatte, gonne e ventagli: uno spettacolo colorato inebriante. Dall’immensa cattedrale alla torre dell’oro, dai giardini dell’Alcazar al barrio di Santa Cruz è tutto un miscuglio di religioni e culture che si sono susseguite per secoli sulle rive del Guadalquivir e che hanno lasciato il loro segno indelebile sui connotati di questa splendida città.
La nostra immersione profonda nella cultura andalusa stereotipizzata dall’idea classica che abbiamo noi della Spagna, continua con una piacevole toccata e fuga nella piccola città del Rocìo. Zero asfalto, chiesette, campanili, piccoli baretti in legno, cavalli e affascinati fantini vestiti come fossimo sul set di un film western perpetuo fanno da cornice a quello che durante quasi tutto l’anno è un tranquillo paesello di 1600 anime immerso nel parco nazionale della Doñana. Durante la domenica di pentecoste invece, diviene teatro di un immenso pellegrinaggio che vede partecipare fino ad un milione di devoti in abiti tradizionali provenienti da tutte le province dell’ Andalusia per portare omaggio alla celebre Virgen del Rocìo.
A dir la verità, calando l’alone di sacralità che avvolge il tutto, questa cerimonia è sempre più spesso al centro di aspre polemiche dovute alla grandissima quantità di persone che danno vita ad un immenso rave itinerante “en traje tipico” che, attraversando in pellegrinaggio il fragile ecosistema del parco, non può non avere un impatto notevole sulla fauna presente. Il tutto si svolge in un fine settimana di festa continua tra bevute, canti, balli, mangiate e ben poca preghiera, ho avuto la fortuna di farne parte una volta e, senza nulla togliere alla magica atmosfera folkroristica che si crea, vi assicuro che le polemiche sono più che mai fondate.
Dopo queste brevi giornate passate nella profonda Andalusia è tempo di tornare dove la salsedine la fa da padrone, le coste ci attendono per continuare il nostro pellegrinaggio lungo il periplo delle coste iberiche. Giusto il tempo di onorare gli ultimi incontri spagnoli ed è finalmente tempo di Portogallo. Il confine passa rapido facilitato dal nostro caro Shengen che riduce la frontiera tra le due nazioni ad un semplice cartello blu con una corona di stelle stampata sopra.
Il rio Guadiana fa da confine naturale e il grande ponte bianco che lo sovrasta ci permette di entrare con facilità nella bellissima regione dell’Algarve che si estende lungo tutta la parte sud del Portogallo continentale. La strada scivola sinuosa tra boschi e montagne fino alla città di Faro dove avremo il privilegio di intervistare uno dei soggetti più interessanti dell’intero viaggio. Matteo, il nostro professionale Video Maker, ha degli agganci in zona e grazie alla conoscenza di un agronomo italiano trasferitosi qui almeno 40 anni fa, riusciamo ad arrivare all’architetto paesaggista Fausto de Nacimiento, anzi, il primo architetto paesaggista formatosi all’università di Lisbona. Definirlo “solo” architetto è decisamente riduttivo nel suo caso, infatti Fausto è uno dei botanici migliori che possa esistere, quando alla scienza sommi la infinita passione, si creano cose davvero magiche, magiche come il giardino dell’Eden che circonda la sua casa.
Come lui stesso ci racconta, la sua storia inizia con la famosa rivoluzione indipendentista portoghese del 25 di aprile del 1974: all’epoca aveva da poco finito gli studi nella capitale e, quello che era l’allora segretario di stato per l’ambiente e con il quale aveva avuto l’opportunità di lavorare, gli chiese se avesse voluto andare a lavorare in Algarve. Nel raccontarlo gli si illuminano gli occhi e continua l’intervista come se stesse rispondendo in quell’esatto momento direttamente al segretario: “que mas quiero, que?? Claro que quiero ir a trabajar al Algarve, es mi tierra!”
L’amore che Fausto ha per questa terra ce lo dimostra in ogni secondo del nostro incontro, il clima unico qui presente e lo stato di naturalezza ancestrale nel quale ancora verte la zona non può che dargli ragione. Ci racconta di come il mancato sviluppo economico della regione l’abbia in realtà salvaguardata dagli orrori ecologici visti in precedenza in terra spagnola, un’immensa benedizione della sorte, nella vita è fondamentale anche la fortuna: “Napoleone non voleva generali intelligenti li voleva fortunati”, ci dice ridendo. Dopo l’intervista, la seconda parte della visita si trasforma in una lunghissima passeggiata nel suo meraviglioso Eden personale. Fausto ha passato buona parte della sua vita viaggiando e, grazie alla sua professione e alla sua immensa passione, ha studiato e collezionato specie vegetali provenienti da ogni angolo del pianeta, che hanno poi trovato una accogliente casa grazie allo speciale clima di questa zona. È cosi che ci troviamo a perderci tra arance, more, frutti della passione, banane, melograni, mandarini, papaye, fiori di ogni forma e colore e piante arrampicanti immense, per quanto io possa sforzarmi di ricordare l’elenco non sarà mai completo, e il pezzo forte quasi dimenticava di mostrarcelo. Grazie alla sua gigante “serra Africana” Fausto si era praticamente anche ricreato un angolo di foresta dentro casa… non riuscivo a credere ai miei occhi. Per darvi idea della sensibilità ecologica di quest’uomo vi racconto che ha iniziato a coltivare un determinato tipo di pianta solo perché dei sui fiori ne va ghiotta la splendida farfalla monarca che a quanto pare sta iniziando a popolare alcune zone della regione: immenso.
Salutiamo Fausto a malincuore e dopo una rapida visita a Sagres, punta estrema del sud-ovest del Portogallo, ricominciamo finalmente a puntare verso Nord, la strada scorre veloce fino alle porte di Lisbona. Come per tutte le grandi città Lisbona ci è un po’ ostica, decidiamo cosi di godercela rapidamente nonostante lo scrosciare continuo di una interminabile pioggia che ci accompagna da ormai molti chilometri. Giusto il tempo di un’ottima zuppa di pesce e del bacalhau cucinato alla portoghese e siamo già pronti a ripartire rapidi per il Nord della penisola Iberica senza però farci scappare un buon bicchiere di porto pochi chilometri più a nord nella bellissima quanto decadente città di Oporto, appunto. Il Portogallo ci vola via in poco tempo, i chilometri che mancano sono ancora molti e il tempo a nostra disposizione inizia purtroppo a scarseggiare sempre più.
Il ritorno in suolo spagnolo ci spiazza totalmente, avevamo lasciato le aride coste andaluse e, pur essendo nella stessa nazione, ci troviamo davanti un paesaggio talmente diverso che se mi avessero portato fin qui bendato avrei giurato di essere in Irlanda: la Galizia signori. Scogliere a picco sul mare ed Oceano indomabile fanno da cornice lungo tutta il tragitto, pioggia e vento incessante poi ne confermano poi il pieno carattere nordico, ma qui almeno ce lo aspettavamo.
Se quello che stiamo cercando sono i molteplici punti di vista del rapporto tra uomo e mare non potevamo non intervistare un pescatore di Percebes, il crostaceo più tipico e prelibato di tutta la Galizia. Poco gradevole alla vista ma delizioso al gusto, questo piccolo essere marino trova il suo Habitat ideale attaccandosi alle rocce schiaffeggiate costantemente dalle potenti onde dell’Oceano Atlantico, anzi, più forti sono e meglio cresce.
Roberto Vidal ci racconta di come pescare questi crostacei sia uno dei lavori più pericolosi che esitano, gli unici strumenti del mestiere sono una muta di neoprene, una specie di scalpello allungato chiamato “ferrada”,una retina da attaccare alla cintura, e ahimè, quasi mai corde di sicurezza. Al domandargli se avesse paura mi risponde quasi indispettito dicendo ”paura no, ci sono giorni in cui l’oceano ti impone rispetto ma paura no, lo faccio da quando avevo 17 anni, se hai paura non vai.” E pensare che questo lavoro, tradizionalmente parlando, era svolto principalmente da sole donne che con un paio di jeans e tanto coraggio affrontavano l’oceano senza troppi dubbi. Il buttarsi in mezzo alle imponenti onde incalzanti vale ovviamente il suo prezzo seppur a guadagnarci veramente siano soprattutto gli intermediari e non i percebeiros che rischiano la vita ogni giorno. Il prezzo nel periodo di Natale dell’anno scorso ha raggiunto infatti l’incredibile cifra di duecentosessanta/trecento euro al chilo e comunque sia il valore in periodo non festivo si aggira intorno ai trentacinque e i quaranta euro al chilo.
Come fosse più un confine climatico che geografico, la pioggia e il vento della Galizia ci danno finalmente tregua non appena usciamo dalla regione. Santander, San Sebastian e la celebre spiaggia surfista di Zarautz scorrono via con relativa serenità e in breve ci troviamo nuovamente a dover attraversare un altro confino di stato. Il tempo per il primo team di 7milamiglialontano è agli sgoccioli e scegliamo come ultima meta il più grande ammasso di sabbia di tutta Europa. Dormire sotto la Dune du Pilat è come essere al cospetto costante di una immensa onda all’apice della sua altezza. Sono decine e decine di metri di sabbia che si stagliano di fronte ai nostri alloggi, il prezzo da pagare per godersi il fiabesco tramonto o anche solo per vedere il mare è una scalata fino alla cima. Lo spettacolo vale poi tutta la fatica fatta.
Da una parte l’oceano, dall’altra la fitta foresta della regione dell’Arcachon e al centro una striscia di sabbia lunga 3 chilometri, larga 600 metri e alta fino a 110 metri nei punti più alti, una particolarità naturalistica senza eguali in Europa.
Sono trascorsi 6442 Km dalla prima all’ultima tappa, è ora di lasciare spazio ai team che verranno fino ad inizio luglio, quando tornerò a viaggiare con 7milamiglialontano per documentare le coste del nord Europa: Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Finlandia, Svezia, Norvegia!
Bellezze abbaglianti e devastazioni impensabili ci hanno accompagnato durante tutto il tragitto in un continuo braccio di ferro ecologico. L’equilibrio tra uomo e natura sembra perduto, in molti dei posti visitati l’egoismo antropico sembra aver preso il sopravvento fino a quando non incontri volti fantastici pronti a farti ricredere su tutto davanti ad un obiettivo. Non vedo l’ora di incontrarne altri.
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