I fili della memoria

Iscriviti al nostro canale Whatsapp

di Silvia Manfredini

L’inverno, da quelle parti, non si faceva annunciare. Arrivava silenzioso e deciso, senza cerimonie. Schietto. Proprio come la gente che abitava quelle campagne. L’aria crepava la pelle, ma non l’anima. A questo pensava Ettore Forni, seduto al vecchio tavolo da lavoro. Le mani callose, le gambe dolenti, di chi di inverni ne aveva visti passare più di qualcuno. Nemmeno lui, uomo solido e concreto, aveva potuto sottrarsi ad un’ondata di malinconia, un vezzo che raramente si concedeva.  I tempi stavano cambiando, andavano veloci, più veloci di lui, uomo che piantava le radici in un secolo antico. Racchiuso in quella bottega c’era tutto il suo mondo che sapeva di resina, vernice e colla. Che sapeva di sacrifici, impegno e riscatto. A quanti pezzi di legno aveva dato forma, respiro? Quasi non lo ricordava più. Doveva concentrarsi, chiudere gli occhi. La memoria, ormai, era quello che era. Ma bastava un attimo e i ricordi tornavano più vivi che mai, a rimettere in moto i meccanismi di quel cuore arrugginito.

E così arrivavano Pulcinella, il Dottor Balanzone, Brighella, Arlecchino. Maschere mute a cui lui, con pazienza, aveva dato voce. E c’erano Re con corone sbeccate, principesse con un sorriso cucito a dovere e giullari che piangevano nel riso sguaiato. E c’erano teste dipinte di sogni e di guai, che danzavano sullo sfondo di storie eterne. Dov’è finita la magia? Si chiedeva. Dov’è finito l’incanto? Si interrogava. C’è stato un tempo in cui lo chiamavano “Maestro dei burattini”, “Fabbricante di sogni”. Lui sorrideva serio. Era pur sempre un artigiano: quello era un mestiere vero, intriso di sudore e fatica. Però, in silenzio, si lasciava andare alla soddisfazione di chi sa portare leggerezza e speranza, raccontando storie con le mani. Chissà se quei bambini, ora uomini, ricordavano ancora le avventure del Principe di Rame: burattino un po’ storto, impreciso e malfatto. A bocca aperta, avevano seguito i suoi inciampi, sostenuto i suoi sogni e lo avevano accompagnato alla ricerca della verità – una creatura fatta di luce che viveva in cima alla Torre del Vento. Qualcuno aveva addirittura dimenticato che si trattava di una storia. E questo, in fondo, era la magia. La magia dell’altrove. E ora? Ora aveva la sensazione di parlare una lingua antica, che nessuno più capiva. Le piazze e le corti, di sera, erano ormai deserte. Ragazzi e genitori si accalcavano per poter vedere la TV in stanze sature di fumo.

I burattini giacevano l’uno accanto l’altro, davanti agli occhi del suo creatore, che li aveva amati e curati come fossero figli. Una folata di vento gelido oltrepassò la barriera della finestra e si insinuò sotto la camicia di Ettore, che si ridestò improvvisamente. Si era fatto tardi. Si alzò dalla sedia e abbandonò la sua officina con movimenti lenti, cercando di scacciare la malinconia.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp
Lascia un commento Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articolo precedente

Palazzina Marfisa d'Este è un gioiellino

Articolo successivo

Se non schiocchi le dita apprezzi solo a metà: ecco a voi il Poetry Slam

Inserzione pubblicitaria